Ok, non sarò banale. Ci proverò.
Dopo che anche la Fiom è stata fregata, resta l’amarezza di salutare un anno pieno d’ingiustizia.
Un anno in cui ancora, come ogni fottutissimo anno, si muore per lavorare. Il pensiero va soprattutto a Mohammed, che in un giorno di festa si è visto crollare addosso un soffitto, e insieme a quello il futuro. Paradossalmente nel giorno in cui gli studenti universitari, sconfitti in senato ma non nelle strade, vedevano crollare il loro. Mohammed purtroppo si chiama così, non Giovanni o Pietro, per cui archiviata la pratica e via, tutti a fare il cenone, era un immigrato come tanti.
Mohammed non è l’unico, si muore ogni giorno per venire trattati come bestie dentro i cantieri mentre fuori, fuori da un mondo che non li appartiene, gli altri, un 10 %, invadono le vie del centro per poter sfoggiare il proprio benessere economico. Poi ci sono quelli che passeggiano e basta, sbavando sulle vite altrui, quelli che torneranno a casa e guarderanno un programma di gossip alla tv e si sentiranno parte di un natale per ricchi del quale in realtà non faranno mai parte, ma loro non lo sanno.
Ci sono le tradizioni da rispettare, ai cenoni si parla di come oggi la famiglia non sia più un valore, e intanto Mohammed, uno di quelli che ci rubano il lavoro, che non si lavano, stuprano le nostre donne e rapiscono i nostri bambini, è morto. Apriamo un altro panettone.
Che poi magari, a queste belle cene, scapperà di parlare di quei teppisti del 14 Dicembre. Quelli che si mettevano i caschi e si coprivano il volto, quelli che hanno sfasciato le vetrine di quei poveri commercianti, quelli che DIO MIO, hanno lanciato i sanpietrini contro la polizia, contro quelli che ci difendono. Scapperà un grazie a Dio mio figlio non frequenta quei centri sociali, e anche lì, ci si ingozzerà un altro po’ e poi si finirà a parlare dei saldi imminenti.
Quelli più sinceri fra loro auspicheranno olio di ricino per tutti, e poi torneranno sui tortellini.
Mai nessuno si azzarderà a dire che quei ragazzi in fondo, con i loro scudi colorati, con le loro facce sporche di Malox, con gli occhi tristi che sanno guardare lontano, così diversi dai giovani che descrivono di oggi, forse avevano ragione.
Nessuno parlerà mai delle notti passate in una facoltà occupata, dove tra una birra e l’altra, tra un karaoke, un film, tra cori improvvisati, tra un abbraccio, la partita, una coperta per il freddo, un sacco a pelo smezzato, quei ragazzi sognavano un futuro.
Delle giornate passate a convincere gli altri studenti, a scrivere comunicati, a fare flashmob.
Un corteo dopo l’altro, tre assemblee al giorno, chi andava a comprare lo striscione, chi a prendere la pizza, motorini e macchine che diventano un bene comune, come le sciarpe, le sigarette, non c’era più niente di mio o tuo, c’era un nostro che diventava sempre più forte.
C’erano quelle mattine in cui ti alzavi dal sacco a pelo distrutto ma ti trascinavi fino al bar a prendere il caffè per tutti.
C’erano pomeriggi in cui volevi studiare o riposare e scattava sempre qualcosa da fare, allora iniziavi a dire che palle, da domani non ci vado più, non è possibile, sono stanco, ma poi andavi all’ennesima assemblea col sorriso sulle labbra.
C’erano notti in cui maledicevi il pavimento freddo, ma poi ci si metteva a ridere per le stonzate,ci si smezzava una coperta in più, e alla fine, pur con i pinguini che ti beccavano la faccia, dormivi.
Notti in cui si partiva col STASERA NON BEVIAMO e si finiva a scrivere improbabili cartelloni, a correre per i corridoi o a girare con gli scudi per la città universitaria giocando, con qualcuno che scendeva dagli edifici, spaventato e intontito, gridando SO ARIVATI I FASCI.
E poi immaginate che quei ragazzi, il 14 Dicembre, se ne vanno in piazza pieni di speranza. Percorrono le strade, nessuno lo vuole dire cosa succederà, sembra quasi l’ultima di campionato, “non succede ma se succede”…
E improvvisamente la rabbia. Perchè sappiamo già che da quella compravendita di voti nascerà la fine del nostro futuro.
Immaginate ognuno di quei ragazzi pensare a come fare a continuare a studiare, al paese che verrà. Al precariato a vita che li attende, ai sacrifici inutili che faranno, a un titolo che non servirà a nulla.
Immaginate la rabbia che esplode dentro ciascuno di quei ragazzi, e immaginate la rabbia che esplode per gli altri, per quelle amicizie che, nate per forza, sono diventate più vere che mai.
Moltiplicate questa rabbia per tutti quegli studenti che non conosci, ma che sai che hanno la stessa rabbia che hai tu.
Moltiplicatela, infine, per gli extracomunitari che scesi dalla gru sono stati espulsi, per quelli che ogni giorno vedi supplicare per lavarti il vetro della macchina, quelli che vedi morire nelle fabbriche insieme ad altri, anche italiani.
Moltiplicatela per i rifiuti tossici di Terzigno.
Moltiplicatela per i precari delle scuole.
Moltiplicatela per gli operai della Fiat.
Moltiplicatela per la sanità smantellata nel Lazio da Renata Polverini.
Moltiplicatela per Alemanno, che fa entrare nell’Atac i suoi camerati squadristi.
Moltiplicatela per tutti quelli che non arrivano a fine mese.
Moltiplicatela per un presidente del consiglio senza consenso che si compra tre voti per continuare a distruggere il paese.
Moltiplicatela per un’Italia che non ti capisce, non ti comprende, non ti ascolta. Per istituzioni sempre più sorde, per quanto tu possa gridare forte.
Basta accendere una miccia, ed è una bomba che può solo esplodere.
Non cercherò di giustificare nessuno, questa è solo la mia versione dei fatti, è solo una mia idea.
Ma oggi, tirando le somme del 2010, ho avuto paura del 2011. Ho paura del futuro, perchè ho 23 anni e vivo in un paese che non lo garantirà mai.
Vivo in un paese dove si vedono gli altri soffrire e ci si scansa, dove i problemi tuoi non sono i miei, dove l’importante è che sto bene io.
E poi ho capito che non sono ancora stanca.
Ho capito che prima di arrendermi a questa società che non voglio, devo lottare fino a che avrò voce in corpo.
Se l’inculatura alla Fiom questa mattina mi buttava giù, ora so che il 2011 è un anno buonissimo per vincere.
Che la felicità che cerchiamo ogni giorno di rubare diventi reale, palpabile, e sia nostra di diritto.
Che i sogni che la riforma Gelmini ci ha portato via ritornino, più forti di prima.
Che l’allegria del 22 Dicembre, i bambini che ci salutavano dalle case, la gente che ci applaudiva dalle macchine, i vecchi col fazzoletto rosso, restino nei nostri occhi sempre, soprattutto quando ci sentiremo delusi, stanchi, sconfitti. Che siano un motivo per andare avanti anche quando ci sembrerà di non potercela fare.
Che la parola d’ordine, in ogni momento, per tutto quello che verrà, sia RESISTENZA.
Buona lotta a tutti.
Buon 2011.
Benedetta LoZito