medicina in mobilitazione
Blog dell'Assemblea di Medicina della Sapienza, Roma
Lettera aperta ai sostenitori della riforma
Categories: Comunicati

Alla c/a di Andrea Cormano, consigliere di Facoltà di Medicina e Chirurgia, Consigliere CCLM A, Consigliere CTP, Consigliere Accademico Ateneo Federato delle Scienze politiche, pubbliche e sanitarie- Azione Universitaria

Letta ed esaminata la lettera girata via internet con annesso volantino del partito “Azione Universitaria”,  abbiamo ritenuto necessario rispondere e fare chiarezza, ribattendo ad alcuni punti che riteniamo profondamente inesatti e palesemente provocatori.

Da parte nostra consideriamo il confronto tra le parti la forma più alta di democrazia, crediamo nella formazione di una coscienza critica tramite l’esame e  la condivisione delle corrette informazioni.
La base di questo è perciò il rispetto di tutti i punti di vista. Noi non abbiamo mai, in nessun documento che abbia avuto la nostra firma, dato addosso, sminuito o demonizzato, movimenti universitari con idee politico-sociali diametralmente opposte alla nostra.

Il fatto che definiate “autunno caldo” di una “minoranza” di studenti, professori e ricercatori un movimento che ha fatto scendere in piazza centinaia di migliaia di persone, secondo le stime della questura più di 400.000 solo nella giornata del 30 novembre, citato più volte negli ultimi giorni anche dalla stampa estera (Le monde- 25/11/2010; El paìs- 2/12/2010), dimostra la totale ignoranza da parte vostra sia della forma che dei contenuti della protesta che ha visto in questi mesi  impegnati studenti, precari e ricercatori dell’università.

La mobilitazione di questi mesi non intende in alcun modo, come ribadito più volte, difendere lo status quo o i baroni dell’università. Semmai è proprio la riforma Gelmini che fa sì che il potere dei baroni resti inalterato. Questa infatti prevede una commissione nazionale per attribuire un’abilitazione alla docenza e incarica poi commissioni locali per la decisione finale, con la possibilità di ricevere una chiamata diretta dalla singola facoltà.
Questa riforma rischia di essere il colpo finale di una serie di provvedimenti volti alla decostruzione dell’Università che si sono succedute negli ultimi anni. Infatti non ci siamo mai pronunciati in difesa della riforma Berlinguer (che per inciso è entrata in vigore nel 1999, quindi gli anni passati sono 11, non 10-15). La riforma Moratti da “voi” tanto difesa contribuì ancora a smembrare l’università, non abrogando il “3 più 2” e condannando 55.000 ricercatori ancora al precariato per almeno altri 5 anni (www.repubblica.it -Archivio). La riforma Gelmini prevede una riorganizzazione interna delle strutture dell’Università che dovrà essere effettuata dall’Università stessa. Una riorganizzazione volta alla “semplificazione” così effettuata, inoltre, porta non solo a un’offerta formativa minore e limitata per lo studente, ma, paradossalmente, anche a un’ulteriore confusione. Infatti i criteri applicabili per la razionalizzazione dell’Università, tra cui quello di istituire un numero di Facoltà non superiore a 12 per gli Atenei più grandi, al cui interno saranno raggruppati i vari Dipartimenti, è stato applicato da questo anno accademico nell’ Università “La Sapienza”. Lo Statuto Frati ha portato infatti all’accorpamento di dipartimenti, spesso senza nessun criterio, e dall’eliminazione di varie facoltà.

Gli aumenti di tasse non sono “minacce”, ma purtroppo molto presto diventeranno la normalità di qualsiasi ateneo che voglia rimanere aperto. Infatti la legge 133 del 2008 ha ridotto il FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario- finanziamento statale che costituisce la principale fonte di entrata per le università italiane), gli acronimi utilizzati per la prima volta in uno scritto si esplicitano, con tagli di “63.5 milioni di euro per l’anno 2009, di 190 milioni di euro per il 2010, di 316 milioni di euro per il 2011, di 417 milioni di euro per il 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013” (http://www.camera.it/parlam/leggi/08133L.htm). Da ciò ne consegue che se diminuiscono i finanziamenti statali le università si troveranno costrette ad attingere ad altre fonti, se vorranno continuare a esistere. Il miliardo di euro promesso dalla nuova finanziaria, oltre ad essere niente più che una promessa, non copre i tagli che la riforma prevede, infatti, semplicemente con calcolatrice alla mano, rimane uno scoperto di quasi mezzo miliardo.

Non sono “minacce” nemmeno le privatizzazioni. L’entrata dei privati all’interno dell’università non è una trovata demagogica, ma è uno dei fulcri della riforma. E’ previsto infatti  l’assoggettamento del Senato Accademico, che perde così la sua funzione decisionale, ad un CDA (Consiglio di Amministrazione), che sarà formato per almeno il 40% da “non interni all’università”, quindi privati. Sono questi che decideranno come investire i soldi delle tasse e dei finanziamenti pubblici. In questo modo verranno finanziate solo quelle ricerche e quei corsi di laurea che garantiranno un guadagno grande e immediato a fronte di una spesa contenuta, con la probabile eliminazione di quei corsi che potenzialmente non forniscono un guadagno immediato. La ricerca semplicemente smetterà di essere libera, di essere un servizio per il bene comune.

Il fatto che i rettori resteranno in carica per  un massimo di 6 anni con un mandato unico non rinnovabile, non limita la possibilità di formare caste baronali.

La dicitura “fondi per il merito” è tanto vaga quanto ingannevole e insignificante. Infatti tra i criteri di assegnazione non figura il reddito, fondamentale ai fini di elargizione di borse di studio; vengono rimandati ai ministeri di economia e istruzione i parametri per decidere a chi destinarle. Tra i pilastri meritocratici della riforma, sempre nell’ambito dei fondi per il merito, ci sono i prestiti d’onore. Questi prevedono la restituzione da parte del laureato di una somma di denaro erogata allo studente durante il suo percorso accademico. Si creeranno perciò neo-laureati già indebitati verso un’istituzione che dovrebbe invece garantire come diritto inviolabile il diritto allo studio. Un’ulteriore violazione di questo viene espressa nella dicitura successiva, che esenta gli studenti che abbiano concluso nei tempi stabiliti e con il massimo dei voti il percorso di studi dalla restituzione della somma di denaro erogata. In questo modo non si tengono per nulla in considerazione i pendolari, gli studenti-lavoratori, e tutti quegli individui che per una serie infinita di motivazioni indipendenti dalla volontà del singolo allungano di un anno accademico o più il loro percorso formativo.

Non vi è alcun accenno alla percentuale delle rappresentanze studentesche. Il senato accademico, esautorato, come detto prima, di ogni funzione decisionale, sarà composto da un massimo di 35 unità, 40 per gli atenei con professori e ricercatori di ruolo superiore alla 1000 unità,  caratterizzate per almeno due terzi da professori di ruolo (un terzo dei quali direttori di dipartimento), e poi da una rappresentanza degli studenti non quantificata.

Per quanto concerne la posizione dei ricercatori, è falso che non si siano mai ribellati alla loro situazione di precariato a vita. Infatti tutte le proteste  che negli ultimi anni si sono succedute contro la distruzione sistematica dell’Università hanno visto i ricercatori impegnati sempre in prima linea affinché fosse riconosciuto il loro ruolo e venisse esaminata e regolarizzata la loro condizione. La riforma Gelmini li precarizza ancora di più. Infatti il contratto a tempo di sei anni, rinnovabile ogni tre, verrà tramutato in contratto a tempo indeterminato in funzione del turn-over (pensionamenti realizzati) e dei fondi stanziati. Unica conseguenza possibile, stando ai bilanci della maggior parte degli atenei italiani, sarà quella di un licenziamento di massa alla fine dei 6 anni di contratto. Si prevede inoltre un blocco del turn-over fino a tutto il 2014 (Bozza correttiva finanziaria- maggio 2010).

Il contratto a tempo determinato come “premio aziendale”, quindi secondo fantomatici principi meritocratici, è oltremodo assurdo poiché stabilisce criteri quantitativi e tempistici alla ricerca, a qualcosa che per definizione ha bisogno di tempi dilatati in tutte le discipline, al fine di produrre qualità. Inoltre non viene fornito nessun parametro rispetto al tipo di pubblicazioni che dovranno essere prodotte al fine di essere considerati “meritevoli”. Perciò in ambito scientifico più pubblicazioni sulla scoperta di innovative formule steroidee per aumento di prestazioni sportive potranno essere valutate maggiormente (perché di più!) rispetto alla scoperta di un’alterazione di una frazione genomica che potrebbe essere collegata alla comparsa di una malattia genetica.

Sicuramente ci saranno ricercatori più produttivi di altri. Non avendo citato alcuna fonte sui presunti 20% di ricercatori “immeritevoli”, risultato di un sondaggio effettuato in Sapienza (da quale ente?), non abbiamo potuto verificare direttamente la veridicità delle informazioni.

Vogliamo infine precisare che la decisione dei ricercatori di rendersi indisponibili alla docenza è stata una forma di protesta con il fine ultimo di migliorare la condizione dell’ università, e quindi anche quella degli studenti, non una manovra per danneggiarli.

La protesta portata avanti faticosamente ma con coraggio, impegno e passione da migliaia di studenti, ricercatori e precari dell’università, ha contribuito allo slittamento dell’approvazione della Riforma Gelmini al Senato a dopo il 14 dicembre, giorno del voto di fiducia al governo. Non è una “protesta-contro”, come dimostrano le centinaia di iniziative, seminari, controcorsi che affiancano le lezioni “formali” all’interno delle facoltà occupate.
Si pone invece come obiettivo ultimo quello di costruire un’altra università, in cui porre al centro il sapere come bene comune e fruibile da tutti, in cui non ci sia una così abissale selezione sociale tra chi può permettersi o no di andare all’università, in cui non si applichi una politica aziendale per un luogo che deve produrre conoscenza.

Assemblea di Medicina in Mobilitazione

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