Dai tagli di finanziaria alla riforma universitaria
Già approvato alla Camera, sta circolando l’annunciato Ddl Gelmini, che, a detta del Ministro, fa seguito, come riforma strutturale del sistema universitario, ai primi passi sanciti l’agosto scorso con il decreto di finanziaria noto come 133 e con il successivo dl 180. Vediamo di riassumere il testo e i punti salienti di questo decreto.
Il disegno di legge riguarda solo le “università statali” (art. 2 comma 2) e gli istituti di istruzione universitaria a ordinamento speciale (art. 2 comma 4) (essenzialmente i Politecnici). Non si applicherà quindi alle università private, comprese quelle che ricevono finanziamenti pubblici, che, dunque, non saranno obbligate ad un adeguamento-equiparazione normativa. Si compone di tre Titoli, ognuno dei quali diviso in articoli:
TITOLO I “Organizzazione del sistema universitario” Si parte con i principi ispiratori della Riforma, che vedono le loro parole d’ordine in concetti di massima. Uno su tutti il merito, sulla cui definizione però non compaiono specifici approfondimenti. Il merito inteso sulla base dell’attuale sistema dei crediti? Sul non essere fuori corso? E, in campo di Ricerca, meritevoli saranno i Dipartimenti che produrranno un maggior numero di brevetti e, dunque, guadagni nell’immediato? Alla parola merito si affiancano anche altre due parole-chiave: “qualità” e “trasparenza”.Si procede con la definizione degli organi accademici. Al Senato Accademico vengono di fatto attribuite competenze prettamente didattiche (funzioni di indirizzo, iniziativa e coordinamento delle attività scientifiche e didattiche) e la possibilità di avanzare unicamente la proposta del documento di programmazione economica triennale, cioè la programmazione strategica delle spese dell’Ateneo. La decisionalità su questa materia spetterà al Consiglio di Amministrazione. Quest’ultimo risulta infatti investito, dalla presente Riforma, di larghe competenze e prerogative esclusive. Spetteranno al Cda, che prima era solo un organo di controllo sulla regolarità dei bilanci stabiliti in sede di Senato Accademico, la programmazione finanziaria annuale e triennale, l’indirizzo strategico dell’Università, la programmazione del personale. Il Consiglio di Amministrazione potrà inoltre deliberare l’attivazione o la soppressione di corsi e sedi, rispondendo a criteri economici in conformità alla sua natura e competenza. Il Cda vedrà come suo membro di diritto il Rettore a cui poi si aggiungono una rappresentanza studentesca, eletta, e altri 9 membri designati dall’alto (cioè dal rettore) o scelti fra una rosa di nomi secondo le modalità dello Statuto. Ma, e qui sta la grande novità, è stabilito che almeno il 40% di questo Cda sia esterno a ruoli dell’ateneo e si apre ai privati il Consiglio, tramite “avvisi pubblici diretti a personalità in possesso di comprovata competenza in campo gestionale”.Le prerogative del Cda sono riassunte in un’ottica organica nella nuova figura del direttore generale, il cui incarico manageriale “è regolato con contratto di diritto privato”, con ore lavorative e compenso economico stabiliti dal Ministero dell’Istruzione in accordo con quello dell’Economia. La carica viene conferita su proposta del Rettore e approvazione del Cda. Permangono gli organi deputati alla valutazione effettiva (su base qualitativa) dell’efficacia dell’offerta didattica, ossia i nuclei di valutazione e le commissioni paritetiche docenti-studenti, che però forniscono agli organi superiori soltanto pareri non vincolanti.Si annuncia l’istituzione di un non meglio definito “codice etico” che dovrà essere redatto in autonomia da ciascuna Università e il cui fine è evitare conflitti di interesse. Per razionalizzare la spesa gli Atenei potranno fondersi tra loro o aggregarsi su base federativa.“La federazione può avere luogo anche tra università ed enti o istituzioni operanti nei settori della ricerca e dell’alta formazione”, inclusi i privati.
TITOLO II: “Norme e delega legislativa in materia di qualità ed efficienza del sistema universitario” Si apre con l’articolo 4 che annuncia l’istituzione presso il Ministero dell’Economia di un Fondo per il merito destinato a erogare borse e buoni studio per i più meritevoli e a garantire prestiti d’onore. Questi ultimi prevedono, per l’appunto, il prestito di una somma di denaro allo studente meritevole, il quale sarà poi tenuto a restituirla entro un certo periodo di tempo. Non esistono deroghe alla restituzione nel caso in cui lo studente non riesca a inserirsi in un contesto lavorativo. Per accedere a tali finanziamenti gli studenti dovranno sostenere delle “prove nazionali standard” elaborate non da commissioni di docenti o dalla reintrodotta ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione di Università e Ricerca), ma dal Ministero dell’Istruzione in accordo con quello dell’Economia. Spetterà inoltre ai due Ministeri, con netta preponderanza di quello dell’Economia, stabilire i criteri di accesso a queste prove (per esempio con quale media è possibile accedere al test), l’entità delle borse e dei buoni studio, così come la cifra massima che può essere prestata a ciascuno studente, i tempi e le modalità di restituzione della stessa. L’onere di somministrare le prove, erogare i finanziamenti e controllare la loro restituzione viene dato in delega dal Ministero ad una s.p.a., la Consap, che deciderà a quali istituto/istituti finanziari appoggiarsi per la liquidità, cioè per avere i soldi necessari alle erogazioni. Tale s.p.a. tratterrà una percentuale per l’incomodo pari all’1% delle somme erogate e allo 0,1% delle rate dei prestiti rimborsate. Anche alle banche andrà una percentuale per il rischio di mancata restituzione del prestito. Come sarà alimentato il Fondo? “Con trasferimenti pubblici e con versamenti effettuati a titolo spontaneo da privati, enti o società” che possono anche decidere cosa finanziare e cosa no (borse, buoni o solo prestiti d’onore, che sono ovviamente i più vantaggiosi perché si tratta di soldi prestati e da restituire). ”Il ministero promuove il concorso del settore privato” nel Fondo per il merito delle Università pubbliche.Al Governo viene delegato il compito di emanare “decreti legislativi finalizzati a riformare il sistema universitario” decidendo su temi cruciali quali “la valorizzazione della qualità e dell’efficienza delle università, la revisione della disciplina sulla contabilità, la possibilità di commissariare gli atenei in rosso”, la valorizzazione e la qualificazione delle attività didattiche, e il reclutamento all’interno degli atenei. Sarà il Governo a decidere quanto potranno incidere sulle entrate dell’ateneo le spese per il personale di ruolo, compresi gli oneri per la contrattazione integrativa. Insomma la scelta appare quella di un forte ridimensionamento dell’autonomia delle Università e dello spostamento di molti poteri dai senati accademici ai CdA, ai quali spettano “le DECISIONI STRATEGICHE DELLE UNIVERSITA’” .
TITOLO III “Norme in materia di personale accademico e riordino della disciplina concernente il reclutamento”– Si provvede alla revisione dei settori scientifico-disciplinari. Quelli affini saranno raggruppati in macrosettori disciplinari. Il Ministro assicura l’afferenza di almeno cinquanta professori di prima fascia in ciascun settore, ma potranno esserci eccezioni al ribasso (cioè meno professori) per “particolari motivazioni scientifiche”. – E’ istituita l’abilitazione scientifica nazionale. Avrà durata quadriennale e costituirà il requisito necessario per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori. I criteri e i parametri, differenziati per funzioni e per area disciplinare, di concessione dell’abilitazione li deciderà il Ministro. E’ anche istituita una commissione che, sulla base dei criteri e delle regole dettate dal Ministro, valuterà le domande per l’abilitazione. Di tale commissione solo un membro è sorteggiato all’interno di una lista , curata dall’ANVUR, di studiosi e di esperti di pari livello in servizio presso università di un Paese aderente all’OCSE; i docenti che aspirano a far parte della Commissione devono, prima di candidarsi, passare il vaglio di un sistema di valutazione i cui criteri sono disciplinati dal Governo. – Per chi vorrà fare Ricerca: allo stato attuale, i ricercatori precari, cioè coloro che non hanno un contratto di ricercatore a tempo e non sono di ruolo, lavorano per la maggior parte con borse di studio ed assegni di ricerca (forma di collaborazione, quest’ultima, molto meno costosa per lo Stato, giacchè non prevede ferie, malattia, gravidanza, contributi, come invece è per il contratto di ricercatore a tempo determinato, molto meno diffuso e pur sempre precario). Per via di una circolare ad hoc già introdotta dal Ministro qualche mese fa, i ricercatori potranno ottenere dall’Università assegni di ricerca solo per 8 anni (nel conteggio è incluso anche il dottorato, quindi in realtà gli anni sono 3). Poi, non potrà più essere rinnovato loro questo assegno (prima il rinnovo era una formalità). Con l’attuale ddl viene istituita una versione all’italiana del cosiddetto “tenure track” cioè a dire “tre+tre” anni di precariato, e poi? Se fosse l’originale tenure track, cioè quello che esiste in Inghilterra, dopo questi sei anni, in cui il giovane ricercatore viene, per così dire, messo alla prova, tutti i meritevoli verrebbero assunti come associati. Nella versione italiana invece, saranno assunti solo i meritevoli per cui saranno disponibili i posti da associato. Nelle Università italiane cioè si è costretti alla scelta. 10 MERITEVOLI? SOLO 2 POSTI MESSI A DISPOSIZIONE SULLA BASE DEI FONDI DISPONIBILI? SI BANDIRA’ UN CONCORSO!- Di fatto anche la valutazione dei Ricercatori, così come quella dei professori ai fini dell’assunzione, sarà effettuata su criteri definiti dal Ministro, in accordo con il Ministero dell’Economia. L’ANVUR esprime parere non vincolante.
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