Egregio dottor Bruno Vespa,
sono Giusi Pitari, la cittadina aquilana che la sua redazione ha
ripetutamente chiamato il 5 aprile in serata e poi il giorno successivo,
in mattinata. Lo scopo delle telefonate era quello di avermi ospite in
trasmissione, quella speciale del 6 aprile sera, la giornata del lutto
cittadino. Ho declinato l’invito proprio perché non ritenevo opportuno,
nel giorno del lutto, partecipare ad una trasmissione che non sapeva di
lutto né di commemorazione, come ho potuto capire quando le sue
collaboratrici mi hanno spiegato della presenza di Bertolaso, Chiodi e
Cialente. Immagino che lei mi abbia cercato a seguito dell’articolo
apparso sul Corriere della Sera che mi definiva “leader” delle carriole.
La stampa e l’informazione, in generale, possono fare grandi danni: io
non sono il leader delle carriole, perché quel movimento spontaneo ha un
solo leader: L’Aquila.
Ad ogni modo, dopo aver seguito la trasmissione credo di aver capito che
il suo intento era quello di decapitare il movimento, ma non sarebbe
riuscito ugualmente, perché L’Aquila, la mia città è sempre lì, viva,
grazie a tutti i cittadini che con carriole o senza carriole, la
sognano, la guardano, la ricordano, la amano.
Ricordo perfettamente, e proprio poche ore fa ho rivisto il video, la
sua immagine accanto a Bertolaso, dentro un autobus, in giro per
L’Aquila, mentre illustravate a tutta L’Italia una delle tante bugie
dette a proposito del centro storico e cioè che era di nuovo fruibile
agli aquilani che, infatti, potevano vedere di nuovo Piazza Duomo, il
Corso, Piazza San Bernardino e il Castello. Era giugno, e le vie
riaperte erano effettivamente quelle, con la precisazione che Piazza
Duomo era solo per metà aperta, così come il Corso, Piazza san
Bernardino non fu neanche accessibile per passarci il Capodanno, e
intorno al Castello non si poteva girare per intero.
Così già a giugno si doveva pensare che le case per gli aquilani erano
in costruzione e il centro era di nuovo fruibile. Lei, che è aquilano,
non può non sapere che il Centro dell’Aquila è grande, grandissimo (170
ettari) e che tutti i centri della città territorio erano ancora
completamente inagibili. Invece ha accettato di dar luogo ad una farsa
dannosissima per la città.
Ma non è tutto. Durante le telefonate che ho ricevuto tra il 5 e il 6 di
aprile, le sue collaboratrici insistevano molto per avermi in
trasmissione e, quando ho detto loro “sarà per la prossima volta”, mi è
stato risposto: “E’ un’occasione unica, perché si riparlerà dell’Aquila
il prossimo anno”. La ringrazio molto per l’attenzione che dedica ad una
città capoluogo distrutta ma, data l’informazione che lei fa, è meglio
che non ne parli più. Mai più.
Nella trasmissione del 6 aprile, non c’è stato cordoglio, né messaggi di
solidarietà ai famigliari delle vittime, cosa che gli aquilani hanno
dimostrato di saper fare bene, rimanendo in silenzio per molte ore
attraverso la città (quel pezzettino di centro storico aperto, sempre lo
stesso) per rendere onore ai loro angeli. La sua trasmissione è
riuscita, forse, a spaccare la città, quel piccolo nucleo di
socializzazione e di condivisione finalmente sorto dopo mesi di dolore e
solitudine è stato smembrato, spero non irreversibilmente, dalla
strumentalizzazione che lei ha fatto di quei cittadini coraggiosi e
ingenui che lei è riuscito a convincere ad apparire in un processo alle
intenzioni degno di chi della informazione fa strumento politico.
Non si è stupito affatto che un masterplan per la città dell’Aquila sia
un segreto, come se lei considerasse normale che chi vive in una città,
non debba sapere cosa è in progetto, affidandosi a chi neanche dice
quali nomi ci siano dietro il progetto.
Qualcuno ha chiamato il movimento spontaneo nato in città “Popolo delle
carriole” e siccome le parole sono importanti, con questa definizione se
ne è connotata sin dall’inizio la derivazione politica e quella
sociale. Cosicché in molti hanno potuto dire che la rinascita dipende
dalla borghesia e non dal popolo. Mi piacerebbe sapere se lei sa chi
sono i cittadini che la domenica si incontrano. Certamente no,
altrimenti li avrebbe difesi.
Dopo mesi di emarginazione, L’Aquila si ritrova in centro, si parla, si
discute, si ride, si toccano le proprie spoglie e lei parla di
container.
Lo sa lei che a L’Aquila c’è chi dorme nei container? Chi? Gli studenti
universitari, caro Vespa, quelli che lei pensa siano a posto. Quelli
sono eroi, perché per studiare non pagano le tasse, ma al contempo
pagano un altissimo tributo, quello di viaggiare e non avere null’altro
che le aule dove si fa lezione. Poche parole per i 55 studenti morti,
specie sulle responsabilità, del mancato allarme.
Inutile girarci intorno, il terremoto dell’Aquila è stato un gran
successo e nessuno lo deve rovinare.
Neanche una città che muore