di Roberto Ciccarelli da www.ilmanifesto.it
Per la prima volta nella storia
dell’università di Torino, i ricercatori della facoltà di Scienze hanno
annunciato un’astensione dalle attività didattiche a partire dal
prossimo anno accademico. Il documento che ha reso nota questa decisione
senza precedenti è stato sottoscritto da 140 sui 180 ricercatori
presenti nella
facoltà. A questa schiacciante maggioranza si sono
aggiunti i 30 ricercatori della facoltà di matematica, che hanno
controfirmato un altro documento insieme ai loro docenti, i 30 (su 37)
di Psicologia e i due terzi dei ricercatori di Agraria. Nella stessa
direzione stanno andando i ricercatori di Fisica, ai quali potrebbero
aggiungersi quelli di Medicina e del Politecnico dove nei prossimi
giorni saranno convocate alcune assemblee per decidere le forme di
protesta contro il disegno di legge Gelmini che prevede la scomparsa
della figura del ricercatore a tempo indeterminato.
Una protesta che
segue quella già adottata dai ricercatori della facoltà di Scienze
matematiche, fisiche e naturali della Federico II di Napoli dove dall’8
marzo scorso 110 ricercatori si astengono dagli insegnamenti previsti
nel secondo semestre, limitandosi a fare didattica di sostegno e non
quella «frontale» come prevede la legge del 1980 che ha istituito questa
figura centrale, ma disconosciuta, nell’università italiana. Forme
analoghe di protesta si stanno registrando a Cagliari, mentre i
ricercatori dell’Alma Mater di Bologna hanno sottoscritto nel febbraio
scorso un documento consegnato al Rettore in cui si chiede di adottare
soluzioni per scongiurare una simile ipotesi.
I documenti che stanno
circolando nell’università del capoluogo torinese
denunciano i tagli
operati dal governo al Fondo di finanziamento ordinario per l’università
e del nuovo sistema di reclutamento prospettato nel Ddl che «portano
gli atenei sull’orlo della bancarotta e strozzano ulteriormente le già
scarse prospettive di carriera dei ricercatori estromettendoli dalle
commissioni di concorso». Ma le polemiche più aspre si registrano sulla
nuova figura del ricercatore a tempo determinato previsto nella riforma
Gelmini.
Un contratto di massimo sei anni che si aggiunge all’attuale
moltitudine di assegni, borse e contratti, estende la durata del
precariato fino a 10 anni senza alcuna certezza di assunzione e rischia
di aprire con i ricercatori confermati una «guerra tra poveri» sui
concorsi da associato. I ricercatori torinesi sono convinti che
l’introduzione di questa figura non risolverà il problema dell’enorme
precariato esistente ma lo aggraverà.
dell’università di Torino, i ricercatori della facoltà di Scienze hanno
annunciato un’astensione dalle attività didattiche a partire dal
prossimo anno accademico. Il documento che ha reso nota questa decisione
senza precedenti è stato sottoscritto da 140 sui 180 ricercatori
presenti nella
facoltà. A questa schiacciante maggioranza si sono
aggiunti i 30 ricercatori della facoltà di matematica, che hanno
controfirmato un altro documento insieme ai loro docenti, i 30 (su 37)
di Psicologia e i due terzi dei ricercatori di Agraria. Nella stessa
direzione stanno andando i ricercatori di Fisica, ai quali potrebbero
aggiungersi quelli di Medicina e del Politecnico dove nei prossimi
giorni saranno convocate alcune assemblee per decidere le forme di
protesta contro il disegno di legge Gelmini che prevede la scomparsa
della figura del ricercatore a tempo indeterminato.
Una protesta che
segue quella già adottata dai ricercatori della facoltà di Scienze
matematiche, fisiche e naturali della Federico II di Napoli dove dall’8
marzo scorso 110 ricercatori si astengono dagli insegnamenti previsti
nel secondo semestre, limitandosi a fare didattica di sostegno e non
quella «frontale» come prevede la legge del 1980 che ha istituito questa
figura centrale, ma disconosciuta, nell’università italiana. Forme
analoghe di protesta si stanno registrando a Cagliari, mentre i
ricercatori dell’Alma Mater di Bologna hanno sottoscritto nel febbraio
scorso un documento consegnato al Rettore in cui si chiede di adottare
soluzioni per scongiurare una simile ipotesi.
I documenti che stanno
circolando nell’università del capoluogo torinese
denunciano i tagli
operati dal governo al Fondo di finanziamento ordinario per l’università
e del nuovo sistema di reclutamento prospettato nel Ddl che «portano
gli atenei sull’orlo della bancarotta e strozzano ulteriormente le già
scarse prospettive di carriera dei ricercatori estromettendoli dalle
commissioni di concorso». Ma le polemiche più aspre si registrano sulla
nuova figura del ricercatore a tempo determinato previsto nella riforma
Gelmini.
Un contratto di massimo sei anni che si aggiunge all’attuale
moltitudine di assegni, borse e contratti, estende la durata del
precariato fino a 10 anni senza alcuna certezza di assunzione e rischia
di aprire con i ricercatori confermati una «guerra tra poveri» sui
concorsi da associato. I ricercatori torinesi sono convinti che
l’introduzione di questa figura non risolverà il problema dell’enorme
precariato esistente ma lo aggraverà.
La loro decisione minaccia di bloccare un
terzo degli insegnamenti delle
facoltà scientifiche. I presidi
saranno costretti a chiedere l’affidamento delle cattedre mancanti
all’esterno ricorrendo a docenti a contratto a titolo gratuito, visto
che i tagli hanno ridotto il budget della sola facoltà di Scienze da
circa 900 mila euro a poco più di 300 mila. Facile immaginare che non ci
sarà la fila per coprire questi ruoli. C’è però anche una soluzione
alternativa. Che i corsi vengano affidati ai docenti di ruolo. I
ricercatori chiedono ai docenti di limitare la loro didattica
sostitutiva ad un numero minimo di ore, da 90 a 120. Una richiesta che,
secondo Lorenza Operti, vicepreside di Scienze, sarà valutata con
attenzione,
visto che già nel documento dei ricercatori di matematica discusso a
febbraio «c’era una frase sulla solidarietà dei docenti che
sottintendeva la richiesta ai docenti di non farsi carico della
didattica lasciata dai ricercatori rendendo in questo caso inutile la
loro astensione».
Una decisione verrà comunque presa il prossimo 25
marzo quando, in un consiglio di facoltà, i ricercatori proporranno che
lo «sciopero bianco» venga esteso all’intera facoltà. Negli incontri che
si sono succeduti negli ultimi giorni nelle commissioni didattiche è
emersa la possibilità che anche i professori – gli associati e gli
ordinari – solidarizzino con la protesta. «Sono molto d’accordo con le
motivazioni dei ricercatori – afferma Lorenza Operti – meno sulle
modalità.
Ritengo che l’astensione dalla didattica sia qualcosa che
va troppo in là nel
tempo. Dovrebbe essere un’azione un po’ più
immediata. Penso alle lezioni in piazza, al volantinaggio, azioni forse
un po’ più soft, ma di effetto immediato».
Azioni che non vengono del
resto escluse dagli stessi ricercatori che stanno riflettendo sulle
conseguenze di una situazione inedita nella storia dell’università
italiana. Per valutarne l’impatto, il loro orientamento è di convocare
dopo il 25 una commissione paritetica composta da ordinari, associati,
ricercatori e studenti che esaminino tutte le questioni legali che
nasceranno. L’obiettivo è di presentare un documento al consiglio di
facoltà del prossimo mese ed assumere una linea comune.
Il Ddl
Gelmini è la goccia che ha scosso le ultime, residue, certezze dei
ricercatori che vivono la condizione paradossale in cui la didattica è
un obbligo
e la ricerca è volontariato, quando invece dovrebbe essere
il contrario. «I tagli bloccano la ricerca. Le macchine diventano nel
frattempo obsolete, non ci sono soldi per comprare le riviste,
assistiamo alla demoralizzazione di un’intera categoria – afferma Davide
Levy, ricercatore in Scienze mineralogiche – La nostra è una protesta
per fare capire che il mondo universitario si è stancato di
questa
situazione, i governi di destra e di sinistra devono capire che
l’università
è un valore culturale e morale di questo paese».
A
differenza di un’immagine consolidata che attribuisce agli umanisti il
primato della politica nell’università, da molti anni ormai il testimone
è passato agli scienziati. Alessandro Ferretti, ricercatore in Fisica,
spiega questo protagonismo con il fatto che «nelle nostre facoltà i
ricercatori sono pressoché indispensabili per il funzionamento della
didattica, oltre che della ricerca. Sono persone che hanno indipendenza
di giudizio, abituate a confrontarsi a livello internazionale».
Un’immagine confermata da Davide Levy per il quale «siamo meno legati ad
una situazione baronale. Il rapporto con il professore ordinario è
quasi paritetico. Nelle nostre facoltà riceviamo un grosso sostegno da
parte dei professori e questo ci stimola a portare avanti la protesta».
La
protesta dei ricercatori torinesi ha assunto il profilo di
un’assunzione collettiva di responsabilità verso le generazioni future
che non si rassegnano
a fuggire all’estero a causa della guerra
contro l’intelligenza che da più di vent’anni si sta conducendo in
Italia. Ma è anche la ricerca di una soluzione
per i 3 mila precari –
età media 35 anni – che quest’anno, solo a Torino, non vedranno
rinnovati i loro contratti a causa dei tagli incombenti. Ferretti
conferma l’intenzione di formare un coordinamento congiunto tra
ricercatori di ruolo e i precari per affrontare un’emergenza sociale di
grandi dimensioni. Per Valentina Barrera, rappresentante dei precari
della Flc-Cgil, «è urgente affrontare questo problema legato al
transitorio. Dopo la chiusura del tavolo di ateneo con i soggetti
colpiti dai tagli, chiederemo di riconvocare un tavolo a livello
regionale. La nostra prospettiva resta la difesa del contratto da
ricercatore a tempo indeterminato».
terzo degli insegnamenti delle
facoltà scientifiche. I presidi
saranno costretti a chiedere l’affidamento delle cattedre mancanti
all’esterno ricorrendo a docenti a contratto a titolo gratuito, visto
che i tagli hanno ridotto il budget della sola facoltà di Scienze da
circa 900 mila euro a poco più di 300 mila. Facile immaginare che non ci
sarà la fila per coprire questi ruoli. C’è però anche una soluzione
alternativa. Che i corsi vengano affidati ai docenti di ruolo. I
ricercatori chiedono ai docenti di limitare la loro didattica
sostitutiva ad un numero minimo di ore, da 90 a 120. Una richiesta che,
secondo Lorenza Operti, vicepreside di Scienze, sarà valutata con
attenzione,
visto che già nel documento dei ricercatori di matematica discusso a
febbraio «c’era una frase sulla solidarietà dei docenti che
sottintendeva la richiesta ai docenti di non farsi carico della
didattica lasciata dai ricercatori rendendo in questo caso inutile la
loro astensione».
Una decisione verrà comunque presa il prossimo 25
marzo quando, in un consiglio di facoltà, i ricercatori proporranno che
lo «sciopero bianco» venga esteso all’intera facoltà. Negli incontri che
si sono succeduti negli ultimi giorni nelle commissioni didattiche è
emersa la possibilità che anche i professori – gli associati e gli
ordinari – solidarizzino con la protesta. «Sono molto d’accordo con le
motivazioni dei ricercatori – afferma Lorenza Operti – meno sulle
modalità.
Ritengo che l’astensione dalla didattica sia qualcosa che
va troppo in là nel
tempo. Dovrebbe essere un’azione un po’ più
immediata. Penso alle lezioni in piazza, al volantinaggio, azioni forse
un po’ più soft, ma di effetto immediato».
Azioni che non vengono del
resto escluse dagli stessi ricercatori che stanno riflettendo sulle
conseguenze di una situazione inedita nella storia dell’università
italiana. Per valutarne l’impatto, il loro orientamento è di convocare
dopo il 25 una commissione paritetica composta da ordinari, associati,
ricercatori e studenti che esaminino tutte le questioni legali che
nasceranno. L’obiettivo è di presentare un documento al consiglio di
facoltà del prossimo mese ed assumere una linea comune.
Il Ddl
Gelmini è la goccia che ha scosso le ultime, residue, certezze dei
ricercatori che vivono la condizione paradossale in cui la didattica è
un obbligo
e la ricerca è volontariato, quando invece dovrebbe essere
il contrario. «I tagli bloccano la ricerca. Le macchine diventano nel
frattempo obsolete, non ci sono soldi per comprare le riviste,
assistiamo alla demoralizzazione di un’intera categoria – afferma Davide
Levy, ricercatore in Scienze mineralogiche – La nostra è una protesta
per fare capire che il mondo universitario si è stancato di
questa
situazione, i governi di destra e di sinistra devono capire che
l’università
è un valore culturale e morale di questo paese».
A
differenza di un’immagine consolidata che attribuisce agli umanisti il
primato della politica nell’università, da molti anni ormai il testimone
è passato agli scienziati. Alessandro Ferretti, ricercatore in Fisica,
spiega questo protagonismo con il fatto che «nelle nostre facoltà i
ricercatori sono pressoché indispensabili per il funzionamento della
didattica, oltre che della ricerca. Sono persone che hanno indipendenza
di giudizio, abituate a confrontarsi a livello internazionale».
Un’immagine confermata da Davide Levy per il quale «siamo meno legati ad
una situazione baronale. Il rapporto con il professore ordinario è
quasi paritetico. Nelle nostre facoltà riceviamo un grosso sostegno da
parte dei professori e questo ci stimola a portare avanti la protesta».
La
protesta dei ricercatori torinesi ha assunto il profilo di
un’assunzione collettiva di responsabilità verso le generazioni future
che non si rassegnano
a fuggire all’estero a causa della guerra
contro l’intelligenza che da più di vent’anni si sta conducendo in
Italia. Ma è anche la ricerca di una soluzione
per i 3 mila precari –
età media 35 anni – che quest’anno, solo a Torino, non vedranno
rinnovati i loro contratti a causa dei tagli incombenti. Ferretti
conferma l’intenzione di formare un coordinamento congiunto tra
ricercatori di ruolo e i precari per affrontare un’emergenza sociale di
grandi dimensioni. Per Valentina Barrera, rappresentante dei precari
della Flc-Cgil, «è urgente affrontare questo problema legato al
transitorio. Dopo la chiusura del tavolo di ateneo con i soggetti
colpiti dai tagli, chiederemo di riconvocare un tavolo a livello
regionale. La nostra prospettiva resta la difesa del contratto da
ricercatore a tempo indeterminato».