VENERDÌ, |
|
|
Pagina |
|
Università, |
|
Viaggio tra le dinastie che governano gli atenei |
|
|
|
Ecco i nomi eccellenti |
Parentele illustri |
La cosa strana, e più |
Alla Sapienza il pro |
ANNA |
|
Di padre in figlio ma |
Il barone Frati
di Primo Di Nicola e Marco Lillo
L’appoggio
dei politici. Le cattedre. I concorsi. I fondi delle società
farmaceutiche. Chi è l’uomo che governa da 16 anni la facoltà di
Medicina
I mali del Policlinico? Rosi Bindi non ha mai avuto dubbi. Nel
1999, quando esplose il caso delle infezioni in corsia all’Umberto
I, la Bindi, a quel tempo ministro della Sanità, disse chiaro e
tondo al Parlamento: "Ritengo che la prima causa di quello che
accade sia la gestione diretta da parte dell’università". Sono
passati otto anni, quattro governi e una lunga serie di direttori
generali, ma i rifiuti nei tunnel del Policlinico sono rimasti al
loro posto. Come Luigi Frati, da 16 anni preside della facoltà di
Medicina dell’Università la Sapienza, corresponsabile insieme alla
Regione dello sfascio. Nato dal sindacato, dotato di ottime
relazioni con le case farmaceutiche e con i politici, Frati dal
1990 muove i fili dei concorsi e decide i destini dei primari che
governano l’attività ospedaliera del nosocomio più disastrato
d’Italia. Immune a indagini e polemiche, a ogni elezione viene
riconfermato con un plebiscito dai suoi colleghi. Al Policlinico
non si muove foglia che Frati non voglia.
"Tutti gli dobbiamo qualcosa", ammette un illustre cattedratico che
chiede di restare anonimo: "I professori vogliono che i propri
allievi possano andare in cattedra con un posto da ordinario o da
associato. Frati può aiutarci a esaudire i nostri desideri. Come?
Bandendo il concorso al momento giusto". Un sistema che ha
accontentato molti, compresi politici e soci in affari. Da Vincenzo
Saraceni, vincitore della cattedra di Fisiatria nel 2001, proprio
quando era assessore alla Salute del Lazio. A Marco Artini, socio
di Frati nella Millennium Biotech, una società che si voleva
lanciare nel business delle biotecnologie. La società non ha mai
operato, ma Artini nel 2002 ha vinto un concorso per ricercatore
nella facoltà del suo socio-preside.
Frati è nato a Siena 63 anni fa. Laurea alla Cattolica, dal 1980
professore di Patologia generale alla facoltà di Medicina della
Sapienza, il suo astro sale negli anni Ottanta quando fonda la Cisl
universitaria e rompe il monopolio rosso della Cgil. La sinistra
democristiana gli è riconoscente, lui si lega all’allora ministro
Carlo Donat Cattin e al senatore Severino Lavagnini. Ma i suoi
sponsor sono nel ministero della Pubblica istruzione: il potente
direttore generale Domenico Fazio e il sottosegretario (e poi
ministro) Franca Falcucci. A 40 anni è già vicepresidente del
Consiglio universitario nazionale, il celebre Cun che gestiva
l’assegnazione dei concorsi . Un’attività nella quale si rivelerà
un autentico maestro. "Ho messo in cattedra più di 200 professori",
ripete sovente. E tra questi sono tantissimi gli amici che gli
hanno giurato imperitura fedeltà.
<A
TARGET="_blank" href="http://ad-emea.doubleclick.net/click%3Bh=v8/392a/17/ac/%2a/f%3B220047944%3B0-0%3B0%3B43636210%3B4307-300/250%3B33599445/33617323/1%3B%3B%7Esscs%3D%3fhttp://oas.repubblica.it/5c/espressonline.it/es/interna/1863221618/Middle/OasDefault/Hp_OIPRO_NwInf_SqIn_180110/hp_oipro_sqins_180110.html/35643238353935653462353939636530?http://h40110.www4.hp.com/ipg/ojpro/index.asp?jumpid=ex_r303_it/it/hho/ipg/officejet_pro_q1-ba-cb-xx-repubblica/chev/"><IMG src="http://s0.2mdn.net/2326341/_OJPro_SaveMoney_Cashback_75euros_300x250_Gif.gif"
alt=""
BORDER=0></A>
<A href="http://oas.repubblica.it/5c/espressonline.it/es/interna/1863221618/Middle/OasDefault/Hp_OIPRO_NwInf_SqIn_180110/hp_oipro_sqins_180110.html/35643238353935653462353939636530?http://ad-emea.doubleclick.net/jump/N5851.Repubblica/B4111764.7;sz=300×250;ord=1863221618?">
<IMG src="http://ad-emea.doubleclick.net/ad/N5851.Repubblica/B4111764.7;sz=300×250;ord=1863221618?"
BORDER=0
WIDTH=300 HEIGHT=250 ALT="_blank"></A>
Nel 1990 raccoglie i frutti della sua semina e viene eletto per la
prima volta preside della facoltà di Medicina. Da quella postazione
preme sulla conferenza dei presidi di tutta Italia per modificare
la tabella degli insegnamenti in modo da spezzettare le materie e
così moltiplicare le cattedre. In particolare aumentano i
ricercatori e i patologi come Frati che, a sentire l’ex direttore
generale del Policlinico Tommaso Longhi, non brilla certo per
l’attenzione ai pazienti. Secondo Longhi, spesso Frati non firmava
le schede di dimissioni dei malati e non si curava delle diagnosi
dell’unità operativa di Oncologia nella quale è direttore. La linea
di Frati ha pagato: i medici che sono divenuti professori grazie a
lui gli sono riconoscenti e lo dimostrano a ogni elezione. Così il
suo incarico che avrebbe dovuto durare tre anni è ormai diventato a
vita. Alla vigilia della sesta conferma, nel 2005, Frati ha tentato
anche la scalata allo scranno più alto dell’università. Non è
riuscito a diventare rettore, ma i suoi voti sono stati decisivi
per l’elezione di Renato Guarini, che infatti lo tratta con grande
rispetto. Il rettore firma gli atti di indirizzo relativi al
Policlinico ma Guarini ascolta Frati prima di prendere qualsiasi
decisione. Li accomuna anche un certo modo di intendere la famiglia
e l’accademia. Se il rettore vanta due figli dipendenti dell’ateneo
romano, Frati può contare su tre professori in casa: la moglie e i
due figli. Famiglia, calcio e mare. Frati è un arcitaliano anche
nelle passioni: tutti i venerdì gioca con una squadra di colleghi.
Poi via verso gli amati lidi di Sabaudia, dove si gode il weekend
nella villa di famiglia.
L’amore per i figli è cieco e non distingue sempre tra affetti
privati e beni pubblici. Il 14 novembre del 2004, quando la sua
diletta primogenita Paola è stata impalmata da Andrea Marziale, il
preside Frati ha usato l’Aula grande del suo istituto
all’università per la festa di nozze con 200 invitati. Buffet
ricchissimo dalla porchetta ai pasticcini, catering in livrea e la
troupe delle ‘Iene’ a immortalare l’evento. Paola Frati è laureata
in legge, ma è diventata professore ordinario di medicina legale
alla Seconda facoltà (dove non insegna il padre). L’altro figlio di
Frati, Giacomo, laureato in medicina, ha vinto invece il concorso
da ricercatore nella facoltà paterna. Mentre la moglie, Luciana
Rita Angeletti, ha fatto una carriera-lampo. Alla fine degli anni
Ottanta era una semplice professoressa di lettere in una scuola
superiore. Nel 1995 la ritroviamo nella facoltà del marito
addirittura come professore ordinario di Storia della medicina.
Anche suo fratello, Pietro Ubaldo Angeletti, insegnava patologia a
Perugia, la stessa facoltà dove Frati iniziò la sua ascesa
universitaria. Il cognato (morto negli anni Novanta) è stata una
figura importante soprattutto perché era l’amministratore della
filiale italiana della multinazionale farmaceutica Merck Sharp
& Dohme.
Anche Frati, nel suo ruolo di professore e ricercatore, ha molti
rapporti con i produttori di medicinali. Il Forum per la formazione
biomedica, del quale era rappresentante legale, riceveva ingenti
finanziamenti dalle case farmaceutiche nel biennio 1993-1994,
quando il luminare era membro della Cuf, Commissione unica del
farmaco, quella che decideva se lo Stato doveva rimborsare pillole
e supposte, decretando successi e fallimenti delle aziende. Frati
entrò nella Cuf dopo Mani pulite e l’arresto del celeberrimo Duilio
Poggiolini. Tutto filò liscio finché si scoprì che molti componenti
della Cuf guidavano istituti di ricerca finanziati con i miliardi
delle multinazionali. Il Forum, creatura di Frati, vantava un giro
di affari di 2 miliardi e 300 milioni di lire nel 1993. Organizzava
corsi di aggiornamento per medici e le società farmaceutiche
contribuivano generosamente alle spese. "Tutto legale", si difese
Frati, "i finanziamenti servivano per la formazione ed erano stati
comunicati al ministero". Gli atti finirono alla Procura di Roma,
ma tutto si risolse in una bolla di sapone. Oggi il Forum si è
trasformato in Anm, Accademia nazionale della medicina. Frati è il
presidente del comitato direttivo dove troviamo anche il direttore
generale del Policlinico Ubaldo Montaguti.
L’associazione resta uno snodo importante degli affari di Frati. Su
Internet si precisa che non ha fini di lucro, ma subito si aggiunge
che si avvale di un’agenzia di servizi: la Forum Service.
‘L’espresso’ è andato a curiosare alla Camera di commercio
scoprendo che Frati (insieme all’Anm e ad altre quattro persone) è
socio della Forum Service. Questa società ha fatturato dal 2003 al
2005 ben 8 milioni e mezzo di euro. Oltre a organizzare convegni
per i medici di famiglia della Fimmg, è la casa editrice di decine
di libri di professori e medici. Sono in tanti nel Palazzo a
volergli bene. Quando fu messo in croce dal senatore Valentino
Martelli di An per i finanziamenti delle case farmaceutiche al
Forum, Frati è stato difeso dal centrosinistra. Poi, quando è stato
attaccato da sinistra, a difenderlo c’era il suo collega Marco De
Vincentis, candidato alle regionali con An e amico di Francesco
Storace.
L’unico che ha provato a mettere un freno allo strapotere di Frati
è stato Tommaso Longhi, per quattro volte direttore generale del
Policlinico tra il 1994 e il 2003. Longhi ha denunciato le anomalie
più scandalose del Policlinico, mettendo in fila una serie di cifre
da brivido: con un numero di posti letto equivalenti a quello del
Gemelli, l’Umberto I ha il doppio dei medici; i chirurghi
effettuano 30 interventi l’anno a fronte di una media europea di
cento; c’è un primario ogni sei pazienti e infine, a parità di
studenti, tra gli anni Sessanta e il 2003 il consiglio di facoltà
di Medicina si è dilatato passando da 40 a oltre 700 membri. Longhi
non si è limitato a stilare statistiche, ha puntato il dito sui
doppi incarichi di Frati. Il super preside si era fatto nominare
direttore scientifico dell’istituto privato Neuromed in provincia
di Isernia (per il quale hanno lavorato anche i figli Giacomo e
Paola). Per Longhi quell’incarico era incompatibile con quello di
direttore dell’unità di Oncologia del Policlinico. Revocò Frati e
gli chiese indietro i compensi ricevuti. Non lo avesse mai fatto.
Frati lo ha trascinato in tribunale (ottenendo la reintegra nel
posto) e gli ha scatenato una guerra tale da spingerlo ad
abbandonare l’incarico. A perderci non è stato solo Longhi. L’ex
direttore aveva quasi completato un progetto di ristrutturazione
che prevedeva l’abbattimento delle strutture fatiscenti (quelle al
centro dello scandalo) e la concentrazione delle sale operatorie
disperse nei mille padiglioni. Il progetto aveva avuto tutte le
autorizzazioni. Ma non se ne è fatto niente. Perché? "Il progetto",
accusa Longhi, "è stato bloccato proprio da Frati".
(12 gennaio 2007) da http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-barone-frati/1477028/8/1 ————–
Barone controcorrente
Su Luigi Frati, neomagnifico alla Sapienza di Roma, sono state rovesciate colonne di piombo dall’asse Stella-Boeri-Perotti e, quel che non è propriamente elegante, alla vigilia delle decisive tornate elettorali.
Dell’ex-preside di Medicina, si ricordavano ossessivamente le parentele: moglie, figlio e figlia, colleghi di facoltà.
Frati aveva vinto ugualmente,
e con un consenso forte, malgrado fosse avversato da una campagna
mediatica che probabilmente non aveva eguali nella storia
dell’università.
Ora, colui che incarna per alcuni la quintessenza della baronia, stupisce ancora, presentando la squadra di governo.
Fra i cinque prorettori che lo affiancherenno nella gestione del più grande ateneo d’Europa, c’è infatti Bartolomeo Azzaro, ricercatore di Storia dell’architettura. Si occuperà di sviluppo della attività formative e di ricerca.
Un ricercatore ai massimi livelli di governo di un ateneo è davvero
una rarità in un mondo, quello accademico, dove la suddivisione dei
ruoli ricorda talvolta le caste indiane.
Gli altri componenti la squadra di Frati saranno Francesco Avallone,
docente di Psicologia del lavoro, prorettore vicario con la
responsabilità della riforma dello Statuto, della riorganizzazione e
semplificazione organizzativa, delle strategie di comunicazione
istituzionale, delle politiche per il personale; Antonello Biagini; professore di storia dell’Europa orientale, prorettore per la cooperazione e i rapporti internazionali; Luciano Caglioti, docente di Chimica organica, prorettore per ricerca e sviluppo, trasferimento tecnologico e rapporti con il mondo produttivo; Giuseppina Capaldo, docente di Diritto privato, prorettore per la pianificazione economica e il controllo finanziario.
SHARETHIS.addEntry({ title: "Barone controcorrente", url: "http://www.campus.it/blog/2008/11/08/barone-controcorrente/" });
Il libro-inchiesta di davide carlucci e antonio castaldo
L’università dei baroni:
ecco come funziona
Un viaggio tra truffe, favori e abusi di potere:
i meccanismi perversi delle fabbriche di cultura italiane
MILANO – Sconcertante, devastante o umiliante? E’ difficile trovare
gli aggettivi giusti per descrivere al meglio lo stato dell’università
italiana dopo aver letto Un Paese di Baroni,
il libro appena uscito di Davide Carlucci e Antonio Castaldo su
«truffe, favori, abusi di potere. Logge segrete e criminalità
organizzata. Come funziona l’università italiana» (editore
Chiarelettere). Non un romanzo, purtroppo. Ma una lunga, dettagliata e
approfondita inchiesta con nomi, cognomi, date, pochissime opinioni e
tanti fatti.
La copertina del libro-inchiesta |
Un’inchiesta che lascia senza fiato: perché se è vero che
tutti sanno (o dicono di sapere) che è prassi comune e diffusa che per
avere certe cattedre e varcare certe soglie occorra essere figlio di,
amico di o sponsorizzato da, è altrettanto vero che leggere 309 pagine
che raccontano di privilegi, concorsi truccati, reti di parentele
intrecciate, infiltrazioni mafiose, gerarchie nazionali su chi comanda
e dove, criteri gerontocratici di scelta, lobby bianche, rosse e nere,
intrecci politici ed economici nella selezione dei docenti fa un
effetto devastante. Non solo per i professori, ricercatori e dottori
coinvolti nelle inchieste documentate nel libro ma per tutti quelli che
pur a conoscenza di un «sistema tanto chiacchierato, e oggetto di
generale indignazione fino ad oggi lo hanno accettato. L’importante era
non fare i nomi» scrivono i due autori. Ora ci sono anche quelli, nero
su bianco. Ma forse anche questo cambierà di poco la questione. Il
sistema pare così tanto incancrenito da autoalimentarsi e sopravvivere
da solo. Anche se delle crepe cominciano a intaccare il muro di gomma
dell’università italiana.
Carlucci e Castaldo (tutti e due giornalisti; il primo a Repubblica, il secondo al Corriere della Sera)
raccontano infatti, accanto all’università dei privilegi, anche quella
di chi lavora seriamente tutti i giorni e per pochi soldi. E
soprattutto riportano le storie e le testimonianze di chi si è
ribellato contro i concorsi truccati, contro un «sistema fortissimo
basato molto sull’obbedienza e poco sul merito». Citando i sempre più
numerosi casi di intercettazioni fai da te di studenti, aspiranti
ricercatori o docenti che si sono presentati nell’università dei baroni
a colloquio con i prof muniti di registratori portatili per memorizzare
«le regole del gioco». Negli ultimi anni proprio queste intercettazioni
hanno portato a più di un’inchiesta contro prepotenze e abusi.
Alcuni in Italia si chiedono ancora perché nelle
graduatorie sulle migliori università del mondo, i nostri atenei
facciano sempre una pessima figura. Inutile chiederselo dopo aver letto
questo libro. Peggio: frustrante. Paolo Bertinetti, preside della
facoltà di lingue e letteratura a Torino afferma di «non aver mai
conosciuto nessuno che sia diventato professore solo in base ai propri
meriti». Stefano Podestà, ex ministro dell’Università nel 1996 ha
dichiarato: «I rettori italiani? La metà di loro è iscritta alla
massoneria». Mentre, dati alla mano, Carlucci e Castaldo scrivono che
«i rettori hanno famiglia in 25 delle 59 università statali italiane.
Quasi il 50% (il 42,3 per l’esattezza) ha nella medesima università un
parente stretto, quasi sempre un altro docente». Più chiara ancora la
ricostruzione di un dialogo tra docenti nella deposizione rilasciata
all’autorità giudiziaria da Massimo Del Vecchio, professore di
matematica a Bari – «Se non vengo io, tu non sarai nominato preside» –
«Che cosa vuoi in cambio?» – «Due miei parenti falli entrare…». Carlo
Sabba, uno dei professori che si è ribellato al sistema dei concorsi
truccati, conclude amaramente: «Se non si spezza questa catena, i
giovani saranno a immagine e somiglianza di chi li ha arruolati, e
tutto rimarrà uguale».
Il libro-inchiesta di Carlucci e Castaldo vuole essere «un’istantanea sullo stato dell’università
Università Statale di Milano. Dibattito degli studenti su legge 133 (Paolo Poce) |
italiana e delle èlite che la governano, nel momento di più
profonda decadenza della sua storia». Nel volume si ripercorrono le
vicende che hanno portato intere dinastie familiari alla conquista di
tutte le cattedre disponibili nelle città italiane «calpestando tante
volte il merito e eludendo le regole democratiche; con intere bande di
cattedratici che si sono spartite il territorio proprio come fa la
mafia; raccontando il sistema dei baroni e la fitta trama di scambi tra
potere politico e mondo universitario. Il tutto a detrimento di chi
crede nelle università e nell’eccellenza dello studio con i centinaia
di professori, ricercatori e lettori che nonostante i soprusi e le
generali storture di un sistema che non funziona, resistono e
lavorano».
I due hanno deciso di dedicare
il loro lavoro ai «tanti <ribelli> che in questi ultimi anni
hanno denunciato abusi, aperto blog e siti internet contro il
malcostume accademico, scrivendo spesso con nomi e cognomi ai
quotidiani nazionali e ai tantissimi professori e ricercatori onesti
grazie ai quali l’Italia è ai primissimi posti di una speciale
classifica di merito stilata dalla rivista Nature nel 2004
calcolata in base alla proporzione tra investimenti ricevuti e qualità
delle pubblicazioni delle principali riviste di ricerca internazionale:
nonostante i pochi soldi, i concorsi truccati, la corruzione e molto
altro i ricercatori italiani ottengono risultati eccezionali.
Incredibile ma vero».
Viene solo da chiedersi allora,
visto che la degenerazione universitaria è direttamente proporzionale
alla cattiva qualità della ricerca, che Paese saremmo se le terribili
storture denunciate in questo libro sull’ università non ci fossero.
Visto che «da qualche decennio si assiste ad un’autentica degenerazione
della logica del privilegio e per un po’chi voleva far carriera si è
adeguato, chi non ha trovato spazio ha cercato un’occasione all’estero,
altri hanno gettato la spugna e hanno ripiegato sulla professione
privata, sull’insegnamento nelle scuole superiori, oppure sono caduti
in depressione». Cosa sarebbe l’Italia se tutti quelli che sono andati
via o non sono riusciti ad entrare e lo meritavano avessero potuto
studiare e fare ricerca nelle università del nostro Paese?
Occupazione all’ Università La Sapienza – (Vincenzo Tersigni / Eidon) |
L’inchiesta si fa viva. Viene descritto nei dettagli il
“sistema mafioso” che vige all’interno di alcune università (caso
limite a Messina, dove «le indagini hanno mostrato le infiltrazioni
mafiose e della ‘ndrangheta» e «la cosca Morabito è penetrata
profondamente all’interno della Facoltà di medicina e chirurgia» come
scrive il pm Gratteri della dda di Reggio Calabria). Viene raccontato
come agisce la massoneria in cattedra («A Bologna ci sono due lobby,
massoneria e Cl. Controllano la sanità e la facoltà di Medicina. E’
sempre stato così. E’ uno spaccato inquietante» dice Libero Mancuso, ex
magistrato, assessore comunale a Bologna). Viene spiegato il meccanismo
della grande truffa dei concorsi («C’è l’assenza di qualsiasi
trasparenza nello stabilire chi merita e chi no. Pilotare i concorsi è
una pratica assolutamente sicura e quasi indolore. I docenti sanno di
partecipare a un teatrino. Il nome di chi deve vincere si conosce in
anticipo. Talvolta è davvero la migliore delle scelte possibili. Altre
volte decisamente no. Ma la domanda è: se già si conosce il vincitore
perché spendere tanti soldi per indire i concorsi?» scrivono Carlucci e
Castaldo). Si scende poi nei dettagli della Parentopoli d’Italia (Tre
esempi soli tra i tanti? «A Roma il rettore è Luigi Frati, ex preside
di facoltà di Medicina dove c’era la moglie, ex professoressa di liceo
diventata ordinario, il figlio, chiamato a insegnare sotto la
presidenza del padre, e la figlia, laureata in giurisprudenza…A Napoli
nelle facoltà di Economia e Commercio della Federico II sono state
rintracciate 140 parentele accademiche su un totale di 877 docenti…A
Bari a Economia imperversano famiglie come i Massari: otto i docenti
con questo cognome, tutti imparentati tra loro»). Si spiegano i
meccanismi delle commistioni dei poteri trasversali, poteri politici e
interessi economici che determinano assunzioni e vincitori di concorsi.
Tutto sempre più spesso inter nos.
Basta leggere cosa dice il Cnvsu,
il Comitato di valutazione universitaria: il 90,2% dei docenti
vincitori di concorso dal 1999 al 2007 provenivano dallo stesso ateneo
che aveva messo a bando la cattedra. Con l’autonomia universitaria del
1999 poi (finanziaria e contabile) si sono moltiplicati i docenti e i
corsi di laurea più bizzarri. Gli insegnamenti sono raddoppiati: da
85mila a 171mila. Con una proliferazione che non ha eguali nel mondo:
in Italia esistono 24 facoltà di Agraria, in California tre, in Olanda
solo una.
Forse è anche per tutto questo che secondo i dati Ocse
del settembre 2008 solo il 17% della popolazione italiana tra i 24 e i
34 anni ha conseguito una laurea (contro la media dei paesi Ocse del
33%) e solo il 45% degli iscritti arriva alla laurea, meno del Cile e
del Messico e sotto la media Ocse del 69%? «Continuiamo così – direbbe
il Nanni Moretti dell’ormai storica battuta del film “Bianca” –
facciamoci del male».
Iacopo Gori
11 febbraio 2009 da http://www.corriere.it/cronache/09_febbraio_11/paese_baroni_universita_gori_6a989304-f879-11dd-9277-00144f02aabc.shtml ———-
Da Catania la sfida ai baroni universitari con zero titoli
Cari colleghi, volete soldi per le vostre ricerche? Allora pubblicate. Depurato dal burocratese, l’invito (qui la circolare in .pdf) è risuonato così tra le stanze dei 1.626 docenti dell’ateneo: un monito di significato rivoluzionario.
Perché continuare a dare i soldi in base ai feudi accademici?
Una classifica di merito per assegnare i finanziamenti dove s’è mai
vista? E i meschini che non scrivono una riga da un decennio come
faranno? E i poverini che verranno esposti al pubblico ludibrio? Il rettore dell’Università di Catania, Antonino Recca,
59 anni, capelli rossi e modi spicci, a tutte queste complicanze forse
non pensava. L’aveva fatta facile lui: perché continuare a dare i soldi
in base ai feudi accademici? Meglio una graduatoria, dunque: gli euro finiranno solo a chi li merita.
Cioè a chi la ricerca la fa davvero. Prima ha praticamente obbligato
tutti i docenti a inserire le loro pubblicazioni nel catalogo d’ateneo.
Poi ha fatto mettere in fila i dati. E così, per la prima volta, parvenze di meritocrazia
sono entrate in una delle più durevoli e impenitenti caste italiane.
Purtroppo c’è stata una spiacevole conseguenza. Cosa hanno prodotto i
professori negli ultimi cinque anni? Conta e riconta, è venuto fuori
l’inevitabile: “L’acqua calda” sintetizza il rettore. Una sfilza di
debolezze accademiche, punteggi modesti e un lungo elenco
di poco produttivi baroni.
Sono 255 i “non operativi”
I casi più eclatanti sono quelli che hanno un punteggio inferiore a 10.
Tecnicamente li hanno definiti «non operativi». Vuol dire, in pratica,
non aver pubblicato nulla, i pesi piuma della ricerca scientifica. Sono
255, di questi 187 vantano un poco decoroso 0.
Va bene, forse ci sarà pure qualche sbadato che da anni dimentica
sistematicamente di inserire nella banca dati le proprie fatiche. Ma la
sostanza cambia poco. I punteggi più bassi sono soprattutto nella facoltà di medicina: su 402 docenti 110, secondo il catalogo dell’ateneo,
non hanno vergato una riga degna di essere ripresa da riviste
scientifiche di importanza internazionale. Tra questi ci sono uno
stuolo di ricercatori (e mai termine fu meno appropriato) e tanti
grossi nomi della medicina etnea. Come Pietro Petriglieri, decano di
anatomia umana. Oppure Eugenio Aguglia,
titolare della cattedra di psichiatria. O Santa Salvo, ordinario di
igiene generale, che riconosce: “Sa, io lavoro tutti i giorni.
Partecipo a congressi, anche di alto livello, ma poi alle riviste non
mando niente. Non ho mai avuto questa smania. Del resto, non ci sarebbe
neppure niente di alto livello”.
Isidoro Di Carlo, 48 anni, ricercatore dal 1998, un barone non è mai diventato.
Però in graduatoria ha 304 punti. Se si esclude un operoso collega,
tutti gli ordinari e gli associati della sua branca hanno meno titoli e
pubblicazioni. Peggio: la stragrande maggioranza ha un peso scientifico
non superiore a 50 punti. “Si parla sempre e solo di nepotismo
accademico ” dice Di Carlo. “Ma mi sembra più grave che in Italia non
esista alcun controllo. Ci sono professori che da vent’anni non
scrivono niente. Liberi di non fare nulla e premiati economicamente,
dato che lo stipendio aumenta con l’anzianità”.
Graduatoria epocale
Di Carlo quest’anno per i suoi studi ha avuto più di 5 mila euro, il
doppio dell’anno scorso. “Questa graduatoria è un fatto epocale,
soprattutto per un ateneo abituato a gestire in sordina ogni questione
di meritocrazia ” dice Di Carlo. Ricercatore da una vita è pure Giovanni Li Destri,
52 anni, 256 punti. Quattro anni fa presentò un ricorso al tar contro
una collega, vincitrice di un concorso a cui aveva partecipato anche
lui. L’istanza sintetizza: Li Destri era ricercatore da 12 anni,
insegnava da 13 all’università e aveva 12 pubblicazioni su riviste
internazionali. La collega, scrive l’avvocato Lucia Marino, non era
ricercatrice, faceva lezione da un anno e contava su un’unica
pubblicazione di rilievo. A chi e andata la cattedra di associato? A
lei. E che punteggio ha nella graduatoria stilata quattro anni dopo?
Sessantasei, un quarto del suo ex contendente.
Paragone tra prof. e presidi
I paragoni tra colleghi del resto sono inevitabili. “Ci sono persone che su quei dati ci hanno fatto pure gli istogrammi” ride Luigi Fortuna,
preside da quattro anni di ingegneria, invidiatissimo con i suoi 1.078
punti. Verso i colleghi pero si mostra clemente: “Penso che una
valutazione dignitosa non possa essere inferiore a 100. La ricerca e la
nostra missione”. Vocazione che pero non sembrano avere i suoi colleghi
a capo di altre facolta: oberati dagli impegni organizzativi, arrancano
vistosamente.
Il preside di economia, Carmelo Butta, e fermo a 38. Quello di lingue, Nunzio Famoso, ha un 18. A scienze della formazione Febronia Elia
racimola 17,50. La scarsita di pubblicazioni non impedisce dunque le
scalate accademiche. Anche alle ultime elezioni per il rettorato, lo
scorso aprile, alcuni candidati presentavano numeri non entusiasmanti.
Zaira Dato, straordinario di composizione architettonica e urbana: 8
punti. O il neurochirurgo Vincenzo Albanese: 42. Alla fine, pero, e
stato riconfermato Recca.
Che, all’inizio del secondo mandato, si e dato da fare per distribuire
con maggior giudizio 5 milioni di fondi per la ricerca: “Prima non
esisteva alcuno strumento di valutazione” spiega il rettore. “Ora,
oltre alla qualita del progetto, pesano anche le pubblicazioni. La
graduatoria e un fatto innovativo, su cui continueremo a lavorare.
Abbiamo dato un segnale. Ma di certo non volevamo fare l’elenco dei piu
bravi”.
Negli atenei manca ogni tipo di verifica
Il calcolo dei pesi scientifici ha avuto pero anche questo effetto collaterale. A scienze politiche sono 33 su 113 ad avere un punteggio inferiore a 10: quasi un terzo di tutti i professori. A giurisprudenza sono un quarto. A quota 0, per esempio, ci sono due ordinari di fama come Lucio Ricca e Salvatore Sambataro.
Ma anche uscendo dal limbo dei non classificati il quadro non migliora
molto. Su 88 docenti solo otto hanno un punteggio superiore a 100.
Scenario molto simile a quello di economia, dove solo 28 su 84 superano
quota 50. Qui pero bisogna essere chiari: non e che altrove le cose
vadano meglio. Negli atenei manca ogni tipo di verifica. E, di
conseguenza, abbondano i fautori del minimo indispensabile. Del resto,
perche dannarsi l’anima se poi lo stipendio arriva lo stesso?
Considerazione a cui molte altre categorie non sono estranee. Ma che
nel caso dell’universita italiana, ancora preda di feudali baronati,
diventa ulteriore sintomo di un sistema malridotto.
Come lo è la storia del trentaduenne Mattia Frasca,
facolta di ingegneria. Lui in graduatoria non e nemmeno entrato.
Digitando il suo nome nella banca dati vengono fuori pero 172
pubblicazioni. Fatti due calcoli, equivalgono a 537 punti. Sarebbe il
settimo tra i professori dell’ateneo. Invece e solo un precario che si
danna per diventare ricercatore.
I NUMERI DELL’ATENEO
Le cifre più significative emerse dalla ricerca condotta dal rettore di Catania.
255 sono i professori dell’Università di Catania che, secondo la banca dati dell’ateneo, hanno pubblicato poco o niente gli ultimi 5 anni. 110 docenti su 402 a medicina hanno un punteggio inferiore a 10.
Tra questi ci sono molti ordinari e associati.
8http://www.diees.unict.it/informazioni/persone/pagine_personali/index.php?prs=36.
33 docenti su 113, poco meno di un terzo, a scienze politiche hanno un
punteggio inferiore a 10. di Antonio Rossitto Venerdì 19 Giugno 2009 da http://blog.panorama.it/italia/2009/06/19/da-catania-la-sfida-ai-baroni-universitari-con-zero-titoli/ FINE RASSEGNA STAMPA (per adesso. Per segnalarci un articolo scrivi a ondamedica@autistici.org)