"Egregio Signor Presidente,
ho 56 anni, sono un artigiano, sposato
da venticinque anni
e felicemente nonno. Ho iniziato la mia vita
politica in Lotta Continua e l’ho terminata con il PCI e mai avrei
potuto pensare di poter scrivere ad un leader della Destra, ma oggi
penso sinceramente che Lei sia la persona più saggia ed equilibrata
dell’intero panorama politico. Le scrivo a proposito della legge
che porta la Sua firma con quella dell’On. Giovannardi per la
repressione contro l’uso delle droghe. Le posso giurare di non aver
assunto mai polveri o sostanze chimiche in vita mia, non bevo
superalcolici e non fumo sigarette da venticinque anni. Ho educato i
miei figli a diffidare e sospettare di chi propone "paradisi
artificiali" e mi ritengo una persona consapevole e responsabile, ma la
sera, quando ho terminato il mio lavoro, amo fumare quella che viene
comunemente chiamata una "cannetta", con mia moglie mentre ci godiamo
un poco di relax davanti alla TV e questo in Italia sembra sia un
crimine non tollerabile. Mi permetto di inviarLe un resoconto di una
vicenda che ha visto protagonisti me e mia moglie solo pochi giorni fa,
che ha causato due giorni di detenzione ad ambedue e che poteva creare
i presupposti per ulteriori seri problemi. Spero che abbia il tempo per
concedere un poco di attenzione al problema, perché con troppa estrema
facilità e per equivoci mai chiariti, si rischia di subire dei
trattamenti da Santa Inquisizione da parte di chi, preposto a far
rispettare la legge, non è in grado di usare il buon senso, e fino ad
ora già troppe vittime innocenti hanno pagato per un ingiustificato
pregiudizio. La ringrazio anticipatamente, mi ritenga a Sua
disposizione. Cordialmente." Giancarlo Cecconi .—————————————————— GALERA IN MODICA QUANTITÀ
da http://sottoosservazione.wordpress.com/2009/11/24/galera-in-modica-quantita/
«Non
siamo mica spacciatori». Due notti di follia italiana, inutile
detenzione, ordinario intasamento di celle. Una coppia di coniugi.
Colpevoli di rilassarsi davanti alla tv
Stiamo tornando a casa.Abbiamo passato una bellissima giornata,
tutto procede con fatica ma per il meglio. Vale e Gianluca sono andati
a vedere una casetta e il prezzo accessibile. Gaietta ha esibito le
nuove parole appena imparate, Jaco ha a trovato un appartamentino da
condividere per frequentare l’università a Roma. Un cliente ci ha
appena commissionato alcune vetrate, lo stipendio di novembre. Appena
svoltato per una strada di collegamento per la Cassia, veniamo fermati
da una pattuglia dei carabinieri.
Cintura allacciata, velocità 50 km/h. Lucidi: quando lavoriamo o
viaggiamo ci teniamo. «Buonasera, è un trasloco?» «Buonasera, le
scatole che vede sono i depliant per promuovere il nostro lavoro».
«Patente e libretto». È sempre difficile dare una buona impressione se
si ha una treccia, un orecchino. L’agente prende i documenti, sale
sulla vettura dell’arma. Il precedente per coltivazione di marijuana ad
uso personale, che ci ha visto assolti in fase processuale, è una
miccia lenta. «Signora, favorisca i documenti anche lei». «Trasportate
qualcosa di illecito?» «No, non siamo mica spacciatori, come avrà avuto
modo di sapere, siamo solo consumatori di marjuane». «Procediamo con il
test». Spiego all’agente che noi amiamo fumare uno spinello la sera, ci
rilassiamo davanti alla tv. Il test risulterebbe comunque positivo,
avendo fumato la sera prima. «Se rifiuta di fare il test ci deve
seguire in caserma». «Io non vorrei rifiutare, ma se mi dite che il
rischio è il ritiro della patente ed il sequestro della macchina, non
vedo altra scelta». E così, io nell’auto dei carabinieri e Marisa nella
nostra condotta dall’altro agente, arriviamo nella caserma di Barbarano
Romano. Domande di rito, finta amichevolezza. «Si spogli… anche gli
slip…si giri e si fletta». Mi sento umiliato. Chiaramente non ho
niente, niente in macchina, ma… dalla borsa di Marisa esce fuori 1
(una) cannetta. Da lì a decidere di fare 100 chilometri per venire a
perquisire la nostra abitazione è un attimo. «A casa cosa avete?» Non
mi sento un criminale. «Poche piante in coltivazione artificiale».
Risultato della perquisizione: 2 piante in fioritura alte 1 metro,
altre 4 di 30 centimetri e 12 piantine di 3 centimetri.
Dopo 7 ore di via crucis, ci arrestano. Mari ed io ci abbracciamo.
Verbali, foto segnaletiche, impronte «Ma come potete trattarci come se
fossimo criminali? Non beviamo superalcolici, piantiamo un po’ di
marijuana per non dover mischiare la nostra correttezza con i mercati
illeciti»
Mari viene trasferita a Civitavecchia, io a Grosseto. E il lavoro? La
casa, i figli, i cani? «Potevate pensarci prima». Ma prima di cosa? Non
eravamo alterati alla guida e avevamo solo una cannetta dispersa, non
siamo né assassini, né ladri, né trafficanti.
A Grosseto le guardie carcerarie mi accolgono con gentilezza. Arrivo in
isolamento, cella n.7. Non riesco neanche ad essere preoccupato, tanto
è assurda tutta la storia, soffro solo per Marisa. La cella: una branda
attaccata al muro con le lenzuola bicolori e non a causa del naturale
ingiallimento del cotone. Un bugliolo screziato di marrone, un lavabo
spartano, un comodino, un tavolo e una sedia. Sono stremato, ho un
freddo cane. Mi butto sulla branda, penso a Mari, sperando che non
subisca inutili umiliazioni. Non si dorme, sembra di subire in
continuazione piccole scosse elettriche. Ce la farà l’avvocato a
tirarci fuori domani? Ma domani è già oggi. Il cielo dalla finestra a
più di due metri di altezza è un triangolino di 10 per 5.
Provo a rimanere sdraiato ancora un po’ per rubare un po’ di tempo.
Sento dei passi, una guardia penitenziaria si affaccia dalle sbarre, mi
guarda e poi mi chiede se ho bisogno del Sert. Mi sento sporco, cerco
di rassettarmi come posso, una pettinata, una lavata sotto le ascelle,
non ho dentifricio e di sapone neanche a parlarne.
Sento rumore di stoviglie e un un ragazzo detenuto si affaccia e mi
chiede se voglio un po’ di caffè. È da ieri che non metto in bocca
niente. Dopo un po’ arriva un’altra guardia e mi chiede se tutto va
bene. È possibile avere un libro? «Penso di sì». Incredibile, mi porta
è Arcipelago Gulag” di Solzenicyn: primo capitolo: l’arresto.
Passa lo spesino, ma io non ho ancora disponibilità di spesa, gli
chiedo una sigaretta e mi regala un paio di Marlboro, un secondino me
ne regala un altro paio e i detenuti che non ho ancora conosciuto,
quando la guardia chiede se hanno qualche sigaretta per me, me ne fanno
arrivare cinque rollate a mano.
Non so che ore sono, forse le 16, dal triangolino vedo che si fa
buio.Devo prepararmi al momento peggiore, quando l’unica luce sarà
quella lassù in alto, al neon. Mi hanno appena detto che
l’interrogatorio del Gip ci sarà domani mattina. «Mari, amore mio, come
stai?» Guardo la cella un’altra volta, le misure sono 4×2, una parete è
piena di scritte. Una elenca 54 modi di chiamare la vagina. Un’altra
dice di evitare il Frignone perché è un infame. Sopra il letto c’è una
scritta molto grossa, è marrone, fatta con un dito sporco di sangue o
…merda e dice: «mi ano arestato – marco 15 eroina. E io che c’entro con
questa gente? Provo a leggere un altro po’, forse un’ora la freghiamo.
Sento da una cella la sigla del Tg1, la giornata è passata.
È strano parlare da cella a cella: «Ehi tu laggiù, ciao, io sono
Giordano, te le ho mandate io le sigarette. Stai tranquillo per tua
moglie, Civitavecchia è un buon carcere. Stasera ti porto io la cena».
Gli dico che non ce la faccio a mangiare, almeno non dovrò usare il
bugliolo. Mi bastano due clementine. Neanche 5 minuti e sul tavolo ne
ho un piatto pieno.
La luce è troppo forte e non ho sonno. Mi sdraio comunque. Forse mi
assopisco. Con il chiaro, i rumori dei chiavistelli, e i passi pesanti
nel corridoio. Arriva una guardia: «Cecconi alle 9 in tribunale». Passi
nel corridoio, rumori di chiavi, aprono la cella, andiamo verso il
destino. Dopo un breve parcheggio in una cella all’aperto tipo zoo,
vengo perquisito, ammanettato e condotto sul furgone che mi porterà in
tribunale.
Nessuno dei tre agenti penitenziari mi rivolge la parola. Arriviamo, il
tribunale è deserto, è sabato. Ci sono le mie splendide sorelle, i miei
straordinari cognati, i nostri insuperabili figli e il mio
simpaticissimo genero, hanno tutti l’aria preoccupata, d’altronde con
la barba incolta e trasportato come un barboncino al guinzaglio non
faccio una buona impressione.
Sorrido a tutti, e strizzo l’occhio «mi dispiace avervi creato questa
preoccupazione per una cosa così idiota, ma credetemi non è colpa mia».
Mando il messaggio telepatico, spero che qualcuno lo riceva, ma già lo
sanno, nessuno di loro fuma, ma sanno chi siamo.
Intravvedo Mari già nell’aula in attesa di essere interrogata, gli
sguardi si incorciano un sorriso mesto. Mi ritrovo di nuovo
parcheggiato in una stanzetta, sento che Marisa viene interrogata.
Tocca a me. Portano via Marisa. Io e Marisa non abbiamo nulla da
nascondere e le risposte concordano. Fanno rientrare Mari. Il nostro
avvocato motiva il nostro modo di vivere e la nostra lealtà. Tutti in
piedi, la sentenza: «Il processo si farà, ma gli imputati sono liberi
fin da ora». Gli agenti ci permettono di abbracciarci e per due secondi
sembra più una festa di matrimonio che un processo.
Giancarlo Cecconi —————————- —————————