Appello da http://perluniversitapubblica.wordpress.com/
Noi,
docenti universitari di ruolo attivi in diversi atenei e facoltà,
seguiamo con crescente apprensione le vicende dell’università italiana
e le scelte assunte in proposito dal governo in carica. Oggi decidiamo
di prendere pubblicamente la parola dopo avere letto il ddl di riforma
dell’università approvato dal consiglio dei ministri lo scorso 28
ottobre, un progetto che ci sembra giustificare le più vive
preoccupazioni soprattutto per quanto attiene alla governance degli
atenei (per il previsto
accentramento di potere in capo ai rettori e a
consigli di amministrazione non elettivi, fortemente esposti agli
interessi privati) e per ciò che concerne la componente più debole
della docenza: decine di migliaia di studiosi, giovani e meno giovani,
che da molti anni prestano la propria opera gratuitamente o, nel
migliore dei casi, in qualità di assegnisti o borsisti, nel quadro di
rapporti di collaborazione precari.
Le novità che il governo prospetta in materia di governance degli
atenei ci paiono prive di qualsiasi ambizione culturale e di ogni
volontà di risanare effettivamente i problemi dell’università pubblica,
e ispirate esclusivamente a una logica autoritaria e privatistica, tesa
a una marcata verticalizzazione del processo di formazione delle
decisioni a discapito dell’autonomia degli atenei. Riteniamo che
l’università debba cambiare, ma occorre a nostro giudizio procedere in
tutt’altra direzione, salvaguardando il carattere pubblico
dell’università e favorendo la partecipazione democratica di tutte le
componenti del sistema universitario.
Quanto previsto per la vasta area del precariato ci sembra
profondamente iniquo e irrazionale, tale da mettere a repentaglio la
funzionalità di molti dipartimenti. I tagli alle finanze degli atenei e
la nuova normativa per l’accesso alla docenza preludono all’espulsione
in massa dal sistema universitario di persone meritevoli, stimate anche
in ambito internazionale, che da tempo lavorano nell’università
italiana, tra le ultime in Europa per quantità di docenti di ruolo e
tra le più sfavorite per rapporto docenti/studenti. Al di là della
retorica sul valore strategico della conoscenza e della ricerca, il
governo – ostacolando i nuovi accessi, conservando le vecchie logiche
baronali e non introducendo alcuna misura preventiva contro il
malcostume accademico – pianifica un enorme spreco di risorse
finanziarie, impiegate per la formazione di tanti studiosi ai quali
sarà impedito l’accesso ai ruoli dell’università, e una perdita secca
in termini di capacità, competenza ed esperienza, che rischia di
determinare un incolmabile divario tra l’Italia e i Paesi più avanzati.
Chiediamo al governo di fermarsi, ma ci rivolgiamo anche al mondo
universitario affinché faccia sentire la propria voce e manifesti con
forza le proprie ragioni e preoccupazioni. Non difendiamo lo status
quo: invochiamo una riforma seria che ampli gli spazi di
partecipazione, salvaguardi il carattere pubblico dell’università e
tuteli l’autonomia della didattica e della ricerca. Non ignoriamo
l’esigenza di verificare la qualità dell’insegnamento e del lavoro
scientifico di ciascun docente: esigiamo l’adozione di rigorose
procedure di valutazione, non graduatorie improvvisate e funzionali a
campagne di stampa più o meno denigratorie, ma criteri oggettivi,
adeguati alle diverse specificità disciplinari e capaci di rilevare
anche i pregi, internazionalmente riconosciuti, della ricerca italiana.
Non auspichiamo un reclutamento ope legis: chiediamo lo stanziamento
delle risorse necessarie a consentire l’accesso ai ruoli, previo
concorso, di quanti abbiano acquisito, negli anni del precariato,
comprovate competenze e attitudini professionali.
L’università pubblica non può essere governata in modo autoritario né
gestita con criteri ragionieristici. Il lavoro di quanti ne
garantiscono l’attività deve essere riconosciuto e tutelato. La
conoscenza è una risorsa del Paese e un diritto fondamentale che la
Costituzione riconosce a ciascun cittadino della Repubblica.