Fenomenologia di una facoltà preoccupata
di Corto Eismero31 / 10 / 2010
Apro gli occhi, e i nervi tornano in tensione, contrazioni vermiformi che fanno contorcere il sacco a pelo sul pavimento gelato dell’AulaB. C’è una voce da qualche parte che urla, la solita donna delle pulizie, che ogni mattina tenta di pulire un’aula invasa dai sacchi a pelo degli studenti che hanno occupato il dipartimento di igiene, liberandolo per quattro giorni dalle mani avide di questo governo e del rettore Frati, “pre.occupandolo”, trasformandolo in un luogo del Possibile, spazio di attraversamenti meticci e di produzione indipendente di cultura e formazione.
Lentamente, i sacchi a pelo vicini iniziano a seguire la contrazione, resuscitando dalle poche ore di sonno tra un evento e l’altro. Gli occhi spaziano, alla ricerca di luci e colori riconoscibili. Incrociano lo sguardo del tuo vicino, complice in quell’atto così imprevisto, così scomodo, così reale che era il solo fatto di risvegliarsi là dentro. Volano verso l’angolo, dove, su un cartone matrimoniale dormono M. e E., che non studiano medicina, ma che vogliono ancora avere il diritto di sognare una mobilitazione possibile, un’irriducibile incompatibilità al progetto di questo Stato sulla loro pelle.
Pochi impulsi nervosi, potenzialmente inspiegabili, fanno muovere la bocca, cantando una canzone che, nei giorni, diventa un rito da rispettare scrupolosamente.
Comincia un’altro giorno di preoccupazione, in quel dipartimento all’ingresso di Aldo Moro. In una città universitaria silenziosa, ancora assonnata, gli studenti e le studentesse di Medicina, in mobilitazione permanente, svegliano i muri e i guardiani, aprono le porte di Igiene e inaugurano il nuovo giorno di un’altro Sapere possibile, qui e adesso. Sulle macerie della formazione, Medicina ha costruito una tappa verso un’altra università; se non ora quando?
A dispetto di chi, come Frati, inaugura la facoltà di Medicina come l’unica facoltà che non si sarebbe lamentata – un pezzo di produzione di conoscenza pacificato dalla generosità di un Rettore – gli studenti e le ricercatrici, dopo decenni di inattività, hanno deciso che un’altra università sarebbe stata possibile, a partire proprio dai corpi di tutti noi. Un assalto al cielo da parte di una facoltà dichiarata in coma, che invece, davanti alla cancellazione di ogni diritto per gestire questa crisi, ha saputo dimostrare una dignità sopita, occupando un dipartimento e costruendo per quattro giorni un’università fatta di corsi, di seminari, assemblee, incontri, lezioni pratiche, presentazioni, lotte, desideri.
Uno spazio attraversato da tutti, ma proprio tutti, anche quelli insospettabili, quelli che, sino al giorno prima, sedevano accanto a te in aula e non ci avevi mai parlato prima. Migliaia di persone che, in quattro giorni, hanno trasformato Igiene in un cuore pulsante, un laboratorio potente di condivisione di saperi, di intrecciamento delle mobilitazioni, in un luogo di espressione finalmente libera e alla portata di tutti. Non è servito avere tutto sotto controllo, perchè chiunque arrivava voleva partecipare, organizzare, metterci il suo e pure l’amico.
Non sono bastate le minacce di sgombero da parte di quei professori, e quel Magnifico Rettore, così lontani dai loro studenti da non ricordarsene più neanche l’età, così schierati a vendere il nostro futuro e quello di tutti al miglior offerente da non riuscire più ad ammirare come la loro stessa università, da cadavere quale era, torna a produrre conoscenza diffusa. Anche se lentamente, si inventa nuovi modi di esistere, di coinvolgere, di condividere, di creare un futuro possibile cooperando tra esperienze e attitudini, tra professori e studenti, ricercatori e chirurghi.
Una rivendicazione passionale e sfrenata di nuovi diritti, di un cambiamento di questa società possibile solamente a partire da essa stessa. Una proposta politica, alta e forte, a tutte le facoltà e le università che hanno deciso di resistere. Un’Università diversa, fondata sulla cooperazione e l’autogestione del suo tessuto sociale, ma soprattutto un Sapere che sia immediatamente Bene Comune, di tutti e per tutte, che sappia immaginare un futuro diverso sulle macerie di un sistema di sfruttamento oramai al collasso, fatto di ricchezze per tutti, lavoro e sfruttamento per nessuno.
Fisso quell’oceano di persone che, nonostante i divieti di Frati e della Polizia, balla e si muove a ritmi veloci, davanti al Rettorato della Sapienza. Uno sghignazzo coraggioso, liberatorio, nel cuore della Formazione, e quindi del MondoPossibile. Volevano sgomberare tutto questo, farlo chiudere per dimostrare che la mobilitazione è un gioco, e pertanto deve durare poco, ma soprattutto deve stare agli ordini di chi comanda. E’ quasi l’alba, e il piazzale davanti al rettorato continua a vibrare. In tanti sono venuti, prima sconosciuti, a sostenere quell’esperienza: qualcuno vuole prestare gratis un intero sound, qualche altro arriva e vuole suonare, altri spostano tavoloni pesanti da igiene al pratone dell’università.
Per un momento sei al centro del mondo, davanti a quel muro di suoni e risate che ti attorciglia lo stomaco se ne resti fuori, che scioglie la stanchezza trasformandola in scariche endovenose di adrenalina. E da quel centro, insieme a centinaia di altri come te, ti senti forte, capisci che tutto è possibile tra le onde elettroniche del basso e la dissezione di un cuore.
Alla Sapienza, qualcuno ha provato a sognare un mondo diverso, e a prenderselo subito. Una nuova grammatica di movimento, la sperimentazione costante di una semantica neologica di conflitto.
Quegli sguardi, quelle risate, quegli spray, quei corpi che si mischiano e si incontrano, quegli striscioni e quelle sigarette che non c’erano mai, quelle canzoni che tenevano tutti svegli quando bisognava dormire e quel verso sommesso nel sacco a pelo accanto che ti fa spuntare il sorriso e il desiderio, si fondono veloci come scariche elettriche nei neuroni di tutto il corpo.
Un’altra Università è possibile, e comincia adesso.