Cos’è Ponte
Galeria? "una zona alla periferia di Roma", "ah sì, dov’è la
Fiera di Roma", "ci sono passato davanti per andare a
Fiumicino". Per alcune persone invece Ponte Galeria è disperazione, è
ghetto, è privazione, è violenza e botte, botte sui tetti , botte per terra,
nelle celle o stanze, come è più corretto chiamarle? Per me, Ponte Galeria era
un posto mai visto con gli occhi, sempre ascoltato con le orecchie in qualche
reportage, su radio onda rossa, all’università, e sempre per la stessa cosa lo
avevo sentito nominare, il C.I.E. , a questo mi rimandava Ponte Galeria. Oggi
l’ho visto il C.I.E., un muraglione alto, grigio, circondato da un qualcosa di
molto simile a un fossato, la rete e poi le cancellate taglienti come pietra e
spettrali nella loro estensione senza fine apparente. Tutto intorno un cimitero
di lampioni che, dopo il tramonto, condannano il buio ad una fredda luce
artificiale, senza anima, senza alcun intento di rischiarare; sembra piuttosto
un modo per controllare meglio quello che succede, perchè nessuno si muova,
nessun migrante fugga, perchè il filo dell’accusa, del tener sotto tiro sia
sempre ben teso. Voleva essere solidarietà quel presidio, ma forse ha finito
solo per dare una falsa speranza ha chi ha negli occhi tutti i giorni la
disperazione di un ghetto, una disperazione che ha bisogno di una risposta, di
un’attenzione e di un umano mutuo soccorso che non sia limitato, nè nel tempo
nè nel numero.Hanno sentito le urla molti migranti e sono saliti sui tetti del
casermone, sui tetti del luogo delle violenze e delle umiliazioni quotidiane,
come a voler andare al di là, volare al di sopra di tutto quell’orrore.
Gridavano libertà e il mio cuore era con loro, le mie gambe arrivate tardi
quando la molla ormai era scattata, volevano correre arrampicarsi portare
aiuto. Quando arrivo un ragazzo sul tetto si è già tagliato sulle braccia e il
petto, questo me lo raccontano. Questa non è la prima volta. Ora mimano una
scena di impiccagione, ora io non so cosa è giusto, cosa no. Io tornerò a casa
stasera,mi dico, loro torneranno lì dentro e cosa succederà a loro? a quei
ragazzi e quelle donne che chiedono solo dignità per la vita umana? prenderanno
botte, saranno identificati, torneranno all’incubo di sempre, nel silenzio
maledetto di quelle mura. Sento tutta la necessità , l’urgenza di rompere quel
silenzio, ma non così, perchè sono quelle persone, quei volti, quelle braccia
alzate al cielo invocando libertà, a rischiare, a essere meno protetti e più
deboli. Quando alcuni ragazzi al presidio bloccano il treno per alcuni minuti
la maggior parte dei commenti è pessima "ma non c’hanno un cazzo da fare,
sti scemi?", oppure "io devo andà a lavorà,sti rompicoglioni!"
" e il fatto è che la polizia
non je po’ fa’ niente" ! forse. forse a noi no, sicuro a noi meno che a
loro. E’ bastato un secondo, il presidio si era appena sciolto, è partita la
follia ,la violenza delle botte, dei manganelli,sui tetti, senza pensare
neanche un attimo al fatto che per la paura quei ragazzi sul tetto potevano
scivolare o, peggio, buttarsi giù. Corsa, botte, fumogeni, come oggetti che
danno fastidio e che bisogna sgombrare, "aggiustare con le cattive".
Perchè tutto questo? perchè l’uomo dimentica di essere uomo? di avere davanti a
sè un suo simile,al di là di ogni credo religioso, penso possa essere un
pensiero, un sentimento universale. Quello che ho visto mi ha riempito di
dolore, dolore sordo perchè non definito, nè definibile. Solo parlare e far
sapere, posso. Solo non tacere, non girare lo sguardo. Non lasciare da soli in
quell’inferno uomini e donne colpevoli solo di voler vivere, di chiedere
rispetto e dignità,calore umano invece dei fumi dei lacrimogeni, delle
violenze,della freddezza di chi li controlla. Se sei disposto a tagliarti le
braccia, ad ingoiare sapone a salire su un tetto sapendo che ci saranno botte e
violenza poi , voi come lo chiamate tutto questo? – – da indymedia: 13 MARZO A PONTE GALERIA. CHIUDERE I CIE