di Giacomo Russo Spena
(da Micromega online)
Il
comico Roberto Benigni negli anni ’90 andava ripetendo il ruolo
terapeutico di Emilio Fede per molti adolescenti: “Se lui è direttore
del tg4 tu come minimo diventi astrofisico nucleare”, avrebbero detto
le mamme per consolare i figliuoli in ansia per il futuro. Bé Luigi
Frati, il rettore della Sapienza di Roma (una delle università più
grandi d’Europa), si sarà ricordato della battuta di Benigni quando
ieri pomeriggio ha concesso l’Aula Magna per un dibattito tra lo
scrittore, pseudoregista Federico Moccia (e lo staff del suo film
“Scusa ma ti voglio sposare”) e gli studenti dell’ateneo.
Se
lui è il punto di riferimento delle nuove generazioni, un iscritto alla
Sapienza come minimo ha il diritto di montarsi la testa, avrà pensato
Frati. Forse, però, sono ottimista. Troppo ottimista. E mi scontro con
la dura realtà subito dopo aver sentito l’intervento iniziale di Maria
D’Alessio, professoressa ordinaria di Psicologia dell’età evolutiva e
moderatrice dell’incontro. “Ringrazio Moccia per le tematiche che
affronta – afferma la docente dal podio – Ci insegna la reciprocità
dell’amicizia: le competenze affettive sono più complicate di quelle
sessuali, cognitive e sportive”. Frase che ripeterà più volte durante
lo sconcertante dibattito. Già prima della D’Alessio, c’erano tristi
presagi.
A mezz’ora dall’apertura dell’Aula Magna, centinaia
di studentesse si accalcano davanti all’ingresso dello stabile. Non
vogliono perdere l’evento. Sono quasi esclusivamente ragazze, del primo
o secondo anno accademico, look alla moda, scarpe griffate e ovviamente
cellulari con fotocamera annessa. Per immortalare i loro beniamini.
“Corri Vale, tra poco qui finiscono i posti” urla una ragazza ventenne
al telefono con una voce concitata e un po’ da ochetta.
Alle
16,50 si aprono i cancelli, esce un uomo della sicurezza che dal
megafono dà le istruzioni per smaltire la ressa: “Al banchetto di
destra entrano quelli accreditati, a quello di sinistra i non
accreditati”. Tra le facce delle studentesse c’è un mix tra stupore e
perplessità. Solo una ha il coraggio di affermare ciò che pensano
tutte: “Ma che significa accreditati?”. E giù risate. Senza un minimo
di vergogna. Di nessuno. Nemmeno delle tre mamme (sic!) venute ad
accompagnare le figlie, bramose di farsi fotografare con Raoul Bova.
Ci
rimarranno male. L’attore protagonista di “Scusa ma ti voglio sposare”
all’ultimo non si presenta. Tanto che quando la D’Alessio annuncia la
sua assenza, serpeggia malcontento in sala. Poi, dopo qualche minuto,
dai brusii si passa all’azione: almeno una cinquantina di studentesse
si alzano e abbandonano l’Aula Magna. Ne fermo una. “Sono venuta per
vedere Bova dal vivo, Moccia non mi interessa”, dichiara Paola,
studentessa del terzo anno di Chimica, che poi mi liquida con la
battuta in tema “Scusa, ma ti devo lasciare”. Sorrido. Smetto di ridere
quando iniziano gli interventi: luoghi comuni, frasi retoriche e
qualunquismo si susseguono.
“Le nuove generazioni hanno bisogno
di sognare, questo è il motivo del successo delle mie storie – racconta
Moccia – E la scrittura è una grande forma di libertà”. Applausi. Non
di tutti. Qualcuno dissente. Simone, uno studente di Lettere antiche,
prende il microfono e attacca lo scrittore-regista. “Ma non si vergogna
di rappresentare oggi qui alla Sapienza la letteratura italiana, nel
tempo forse la più importante e significativa del mondo. Glielo dico
col cuore”. Moccia è spiazzato e ne esce con il classico discorso sulla
libertà, che non tutti la pensano come lui e che le vendite lo
premiano. Viva la cultura nazional-popolare. Poi c’è una domanda sui
valori trasmessi dai suoi film. “L’educazione spetta alle istituzioni,
non a Federico che non ha nessun potere sui giovani”, la replica dal
podio. Forse allora le centinaia di lucchetti a Ponte Milvio sono solo
una mia allucinazione.
Tralascio per inconsistenza gli
interventi delle tre attrici, poco più che ventenni, del cast. Il
dialogo più interessante, quando ringraziano Moccia perché girando “noi
tre abbiamo trovato un vero feeling e siamo diventate grandi amiche”.
Intanto altri ragazzi gridano “Vergogna” e alzano dei cartelli:
“L’anti-letteratura è qui” e “Qualunquisti”. Sono una infima minoranza.
La maggioranza applaude. L’Aula Magna gremita non si vedeva da tempo.
Alle 19, con i complimenti di una ragazza che dice a Moccia di aver
visto un “vero artista”, finisce il dibattito. Uno spot ad un pessimo
film, ancora nelle sale, è la produzione culturale della Sapienza di
Frati.
Andando via passo vicino la statua della Minerva, mi
ricordo che un anno fa quel piazzale veniva affollato dall’Onda anomala
contro la riforma Gelmini. Sembra passato un secolo. Il futuro è
Moccia? Scusa, ma non ti chiamo cultura.
(5 marzo 2010)