medicina in mobilitazione
Blog dell'Assemblea di Medicina della Sapienza, Roma
Polemiche sull’organizzazione della facoltà di medicina
Categories: General

Segnaliamo questi due articoli (in realtà uno e la sua replica) apparsi sul corriere della sera il 18 e il 21 febbraio, che parlano proprio della nostra facoltà.
 
I SEI PUNTI DA AFFRONTARE

Troppo facile entrare, difficile uscire. Ora una riforma per l’ Università

Nella maggior parte dei Paesi le facoltà di Medicina rappresentano scuole separate dal resto dell’ ateneo Andrebbe assicurato un sistema di borse di studio volte ad abbassare i costi per gli studenti svantaggiati

 

Caro Direttore, nelle prossime settimane la discussione sulla riforma dell’ Università entrerà nel vivo. Si tratta di una questione di primaria importanza. La proposta Gemini ha ottenuto da molti una valutazione «non negativa», ma anche la critica – giusta – di un approccio troppo dirigista e lesivo dell’ autonomia universitaria. Ma i problemi principali derivano – a mio avviso – da ciò che nel progetto manca e cioè una visione coerente e completa di modernizzazione dell’ Università italiana. Vorrei sottolineare alcuni punti (a mio avviso importanti) che andrebbero presi in considerazione se si desidera veramente trasformare l’ Università italiana e non limitarsi all’ ennesimo rattoppo parziale. 1) La differenza principale tra l’ Università italiana e le Università degli altri Paesi consiste nel fatto che da noi «è facile entrare» ma «difficile uscire»: tutti si iscrivono liberamente, a costi moderati, ma pochissimi si laureano nei tempi previsti e moltissimi si perdono per strada. All’ estero succede il contrario. È difficile essere ammessi, ma una volta entrati gli studenti sono pressoché certi di portare a conclusione gli studi perché sono seguiti, consigliati, controllati, sostenuti giorno dopo giorno dai docenti a dal «sistema» universitario. Gli studenti devono frequentare obbligatoriamente, le università sono residenziali e diventano così comunità dove studenti e professori vivono e lavorano insieme, e dove i professori e studenti più anziani e più dotati fanno ricerca e innovano ed aggiornano gli strumenti didattici. In tale contesto è ovvio che non sono necessarie particolari norme di controllo per i professori, obblighi di tempo pieno, o di numero di ore lavorate, per il semplice motivo che i professori non hanno altra scelta che passare tutto (la maggior parte) del proprio tempo a lavorare nell’ Università, e in un contesto come quello descritto sono ben contenti di farlo. Questo è il modello verso cui gradualmente dovrebbe evolvere l’ Università italiana. Se non si affronta la questione in questi termini l’ Università italiana resterà essenzialmente un esamificio e non diventerà mai una cosa seria. Occorrono tempo, programmazione e anche investimenti, e la verifica delle esperienze di altri Paesi (vi sono Paesi che anziché predeterminare il numero degli accessi, consentono la piena libertà di iscrizione per il primo anno, ma l’ esclusione se, alla fine dell’ anno non vengono superati almeno 4 o 5 esami), ma il processo va iniziato immediatamente: questo è infatti il nodo fondamentale. 2) Nella maggior parte dei Paesi le facoltà di Medicina rappresentano scuole separate e distinte dal resto dell’ Università, a causa delle loro caratteristiche intrinseche: altissimi costi, personale molto numeroso, rapporto strettissimo tra attività professionali ed ospedaliere, ricerca ed insegnamento. Questa è una riforma irrinunciabile in Italia dove il condizionamento e il peso delle facoltà di Medicina sulla vita delle Università è diventato insostenibile. Tutti avrebbero da guadagnare da una tale riforma. In molti Paesi anche le facoltà di Giurisprudenza sono organizzate in scuole di legge separate. 3) L’ autonomia universitaria esiste soltanto se le università possono scegliere non solo i propri indirizzi scientifici, ma anche i propri docenti, i propri studenti e i propri assetti organizzativi, sia pure nel contesto di una cornice generale. Questo aspetto, contrariamente ai precedenti, è trattato nel disegno di legge Gelmini, ma in maniera non condivisibile in quanto va nella direzione opposta a quella indicata. 4) Il finanziamento delle Università dovrebbe avvenire, per quanto riguarda le risorse pubbliche in via automatica, certamente in base alla valutazione, ma anche in base al numero degli studenti e all’ offerta didattica, e di opzioni strategiche decise su base nazionale per sostenere lo sviluppo di nuovi settori di ricerca e di studio. 5) La struttura della didattica si basa in Italia sul modello 3+2. Tutte le università devono essere messe in grado di fornire un buon livello didattico per i primi 3 anni. Non tutte però sono in grado di fornire a un livello adeguato l’ intera offerta formativa, per ragioni di disponibilità di risorse, tradizione accademica, qualità e numero dei docenti. Dovremmo quindi puntare in Italia a un sistema analogo a quello dei colleges americani che si affiancano alle grandi Università. 6) L’ Università non è la scuola dell’ obbligo e quindi la sua frequenza può legittimamente comportare dei costi. Tuttavia andrebbe assicurato, come in tutti i Paesi, un sistema di borse di studio, pubbliche, private, centrali, regionali, locali, volte ad abbassare i costi per gli studenti più bravi, ma soprattutto ad assicurare la possibilità di frequenza per studenti in condizione economica svantaggiata che oggi sono di fatto pressoché esclusi dalla istruzione superiore. Caro Direttore, i punti indicati sono pochi ma decisivi. Se si vuole che l’ Università italiana diventi un’ istituzione rispettabile, essi non possono essere ignorati. La situazione attuale è sull’ orlo del collasso e anche per questo i tempi sono ormai maturi per riforme incisive, definitive e condivise. RIPRODUZIONE RISERVATA

Visco Vincenzo

 

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Interventi & Repliche

 

Visco e le facoltà di medicina

Scrivo a seguito dell’ intervento del prof. Vincenzo Visco dal titolo «Troppo facile entrare, difficile uscire. Ora una riforma per l’ università» (Corriere, 18 febbraio).

L’ on. Visco, professore ordinario alla Sapienza Università di Roma, ove si è trasferito dall’ 1 novembre 2000, mentre era ministro del Tesoro (l’ Università ricevette il relativo finanziamento governativo per la mobilità), con spirito moralizzatore chiede una riforma per l’ Università, fissando alcuni punti. Comincia giustamente con il criticare la scarsa «produttività» formativa, perché – dice il prof. Visco – è facile entrare (non essendoci selezione degli studenti all’ ingresso) ed è «difficile uscire» (in quanto ci si laurea in tempi biblici). Subito dopo però il prof. Visco passa al primo dei rimedi francamente poco condivisibile: espellere la facoltà di medicina dagli atenei, perché «nella maggior parte dei Paesi le facoltà di medicina sono separate e distinte dal resto dell’ Università…». L’ ex ministro mostra di sapere poco delle università: Harvard, Yale, Columbia, University of California, etc. hanno tutte una facoltà di medicina e così Oxford, Cambridge, Londra, etc. Le scuole di medicina sopravvivono solo in qualche Paese dell’ Est Europeo. Per quanto attiene la produttività didattica, le analisi di Alma Laurea, consorzio inter universitario con sede a Bologna, indicano che l’ area medica ha tra tutte le facoltà la migliore efficienza (allungamento medio del percorso formativo inferiore al 20%); in larghissima misura viene trovato lavoro a un anno dalla laurea e – soprattutto – alla domanda «Ciò che avete studiato è utile per il lavoro che avete trovato» rispondono «molto» e «abbastanza» per oltre il 90% degli intervistati. Il dato è che i docenti di medicina lavorano all’ università per almeno 6 ore al giorno. Non è un caso che sia medico il rettore Luigi Frati, promotore di una profonda riforma della Sapienza e in particolare della riorganizzazione dei dipartimenti, mettendo al centro del sistema la valutazione scientifico-didattica. Questa è la vera riforma, in linea con l’ art. 2 legge 1/2009 (legare parte dei finanziamenti universitari ai risultati in ricerca e didattica). Una domanda indiscreta: quanto tempo trascorre il prof. Visco nella facoltà che lo ha chiamato? Io ricordo che l’ on. Aldo Moro, docente della Sapienza, durante il mandato di presidente del Consiglio dei ministri non mancava una sola lezione. Ma erano altri tempi.

Maurizio Saponara, docente Facoltà di Medicina e Chirurgia Sapienza, Università di Roma

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